Accade anche oggi 18 dicembre 2017, Milano. Donna uccisa a coltellate in casa. Colpita dal convivente dopo una lite. La vittima, Simona Forelli, trentatré anni. Questo è il centoquindicesimo caso di femminicidio registrato quest’anno in Italia ed è l’ennesimo crimine dovuto alla violenza di genere di cui tanto si parla negli ultimi decenni.
Il termine “femminicidio” indica qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assottigliamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte. Il femminicidio quindi non è solo un crimine, ma è un vero e proprio fenomeno che esiste da tempi antichissimi in tutto il mondo, nessun paese escluso, in tutte le varianti, fisiche, psicologiche, verbali, sessuali, assistite. Questo termine è sulla bocca di tutti negli ultimi anni e ha assunto un ruolo principale nei dibattiti sociali, politici e culturali in Italia e all’estero. Se ne parla così tanto che quasi è diventato un tabù.
A quanto pare l’informazione non basta a fermare il femminicidio.
Simona Forelli ha tentato numerose volte di allontanarsi dal compagno, ha chiesto aiuto, ha gridato, ha mostrato i suoi lividi. I vicini non sono accorsi alle grida. I carabinieri non hanno avuto prove a sufficienza per avviare un’indagine prima del 18 dicembre 2017.
La madre di lei non avrebbe mai potuto immaginare di trovarla coperta di sangue nel bagno di casa, non sapeva. Questi sono fatti, sono atrocità e riassumono in pochi, terrorizzanti esempi il pericolo che si nasconde dietro la violenza di genere.
Perché Simona non ha parlato? Perché nessuno ha potuto fare qualcosa prima che fosse uccisa, prima che diventasse “solo” un’altra vittima? Vi è uno studio approfondito riguardo alle dinamiche, in primo luogo psicologiche, che innescano la violenza sulla donna. Stiamo parlando quindi di un vero e proprio crimine dovuto a fattori psicologici. Tre sono le fasi che si ripetono ciclicamente fino all’uccisione: l’assottigliamento delle difese psico-fisiche della donna, la violenza fisica o verbale, il tentativo di perdono da parte di lui.
Queste tre fasi riassumono come agisce l’uomo nei casi di violenza contro la donna e in fondo spiegano perché la donna non riesca a parlare. Siamo davanti a un vero e proprio profilo criminale. Non un uomo, non un marito o un compagno, ma un criminale.
Il femminicidio è un fenomeno che si ripete nonostante le proteste, nonostante le lotte da parte di innumerevoli enti socialmente attivi, in ogni Paese del mondo, dal meno sviluppato al più sviluppato.
Quale potrebbe essere allora la motivazione del rapido diffondersi di questo fenomeno? A dare una risposta è l’antropologa Marcela Legarde: “Per fare in modo che il femminicidio si compia, esso richiede una complicità ed un consenso che accetti come validi molteplici principi concatenati tra loro: interpretare i danni subiti dalle donne come se non fossero tali, distorcerne le cause e motivazioni, negarne le conseguenze. Tutto ciò avviene per sottrarre la violenza contro le donne alle sanzioni etiche, giuridiche e giudiziali che invece colpiscono altre forme di violenza, per esonerare chi esegue materialmente la violenza e per lasciare le donne senza ragioni, senza parola e senza gli strumenti per rimuovere tale violenza. Nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali”. Ecco che esso diventa un problema culturale e sociale.
Il fine dell’articolo vuole essere dunque non quello di informare su quale sia l’ennesimo caso, quale sia il nome dell’ultima vittima e quale quello del carnefice, ma se la notizia di essi non basta ad allarmare sulla gravità della situazione italiana ed estera al riguardo, che sia questa nuova presa di coscienza a obbligarci tutti a osservare e ascoltare con attenzione ciò che accade intorno a noi.
Non bisogna sottovalutare il minimo segnale d’allarme che ci si presenti. Perché se non vi è rimedio alla morte di Simona e di tutte le donne che oggi lei rappresenta, possiamo ancora scegliere di non permettere la diffusione di questo fenomeno che in realtà è una guerra nel quotidiano, è una violazione del diritto alla vita dell’essere umano.
(Fonti: Immagine in evidenza)