Hikikomori: anche in Italia i ragazzi decidono di vivere chiusi in camera

La parola Hikikomori, di origine giapponese, significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi” e si concretizza come un fenomeno sociale che colpisce quei soggetti che decidono drasticamente di isolarsi nella propria stanza per più di 6 mesi, evitando qualsiasi tipo di contatto esterno.

Questo fenomeno viene trattato come un disturbo mentale, curabile con assunzione di psicofarmaci e sedute di psicoterapia. Colpisce maggiormente soggetti di sesso maschile di età compresa tra i 16 e i 40. Si diffuse in Giappone già agli inizi degli anni Ottanta e in America ed in Europa a partire dagli anni 2000.

Cosa fa dunque un Hikikomori? Decide volontariamente di isolarsi dalla realtà sociale, scolastica o lavorativa, rinchiudendosi nella propria camera da letto anche per decenni; egli passa il suo tempo rimanendo per più di 14 ore al giorno a navigare su Internet, giocando ai videogiochi, guardando anime (cartoni animati giapponesi) e chattando con altre persone online. Questo lo porta a costruirsi un vero e proprio mondo virtuale.

Camera da letto di un Hikikomori in Giappone

Perché succede? Probabilmente perché su Internet è più difficile essere giudicati per il nostro aspetto, la nostra persona, il nostro comportamento. Potremmo anche inventarci un’identità, un personaggio con le qualità che avremmo sempre voluto avere, eliminare le nostre insicurezze, sentirci liberi di esprimerci.

Non a caso l’Hikikomori viene spesso confuso come un soggetto depresso, pigro, asociale e dipendente da Internet. In realtà tra i due c’è molta differenza.

Camera da letto di un Hikikomori in Giappone

Uno dei motivi principali di questa condizione è non sentirsi adeguato ai canoni di una società che richiede successo in campo lavorativo, sociale o scolastico. L’Hikikomori, per qualche ragione, non riesce nell’intento: presenta ambizioni diverse da quelle che la società attuale richiederebbe, ha difficoltà relazionali con le altre persone oppure nella maggior parte dei casi è stata vittima di atti di bullismo e ha subito veri e propri traumi.

Questo isolamento comporta non solo un distacco con le altre persone dal mondo reale (familiari compresi) ma anche malattie più gravi quali depressione, obesità, insonnia, bulimia, anoressia, disturbo ossessivo compulsivo.

Oggi in Italia il numero di Hikikomori supera quasi i 50mila e viene sostenuto in particolar modo da un’Associazione Nazionale chiamata Hikikomori Italia, punto di riferimento per qualsiasi tipo di informazione. Sentiamo Marco Crepaldi, presidente e fondatore dell’Associazione.

Come è nata Hikikomori Italia?
Nel 2012 studiavo psicologia a Milano e, per caso, vidi un anime giapponese (“Welcome to the NHK”) il cui protagonista era proprio un ragazzo hikikomori. Fui colpito da quel fenomeno perché riguardava la mia generazione e decisi di dedicarvi la mia tesi di laurea. Una volta terminata la tesi, mi accorsi che il fenomeno era stato studiato fino a quel momento come fosse un qualcosa di esclusivamente giapponese. Io, invece, ero convinto che esistesse anche in italia così decisi di aprire un blog hikikomoriitalia.it, proprio con l’intento di parlare di questo tema con l’obiettivo di ottenere ancora più forza e credibilità agli occhi delle istituzioni.

Quali sono le domande o i messaggi più frequenti dei genitori di Hikikomori?
I genitori entrano nel gruppo completamente spaesati e confusi da questa problematica. Fino a quando non conoscono Hikikomori Italia pensano di vivere un problema insormontabile che riguarda solo loro figlio, ignorando invece che si tratta di un fenomeno mondiale.
La loro prima richiesta è di aiuto. Vogliono conoscere nomi di associazioni o professionisti da poter contattare nella loro zona, ma lentamente, capiscono che la cosa fondamentale è riuscire a recuperare il rapporto con il figlio adottando nei suoi confronti un comportamento comprensivo e non ansiogeno o giudicante. La parola d’ordine è pazienza. 

Cosa si dovrebbe fare per evitare altri casi di Hikikomori?
Dare alle famiglie e agli psicologi gli strumenti adeguati per intervenire prima che l’isolamento si cronicizzi. In questo senso la sensibilizzazione è un passaggio fondamentale perché oggi in Italia quasi nessuno ha mai sentito parlare di hikikomori, nemmeno tra gli addetti ai lavori.
La nostra associazione sta lavorando duramente in tal senso portando il tema nelle scuole e nei comuni, nonché sui giornali e sulle televisioni nazionali. 

Anche da brevi conversazioni avute con sei ragazzi italiani, che si sono dimostrati molto disponibili, si è potuto dedurre che  le attività svolte all’interno della propria stanza da questi ragazzi, avevano in comune soprattutto una cosa: Internet.

“Giocavo ai videogiochi, leggevo, giocavo di nuovo e così via, fin quando non andavo a letto a dormire.. beh più che altro passare la notte sveglio a pensare “perché proprio a me?” “cosa ho fatto di male?” poi subentravano anche pensieri suicidi.
•”Avevo circa 17 anni e passavo il mio tempo sui giochi online in compagnia di qualche amico sui server vocali come teamspeak, comunque a casa non se ne parlava molto perché c’erano altre priorità. Ascoltavo tantissima musica e guardavo anime giapponesi.”

Che cosa può aver provocato l’isolamento in questi ragazzi?

•”Nel mio caso io avevo il terrore delle personeNon essere all’altezza, non essere interessante, ma in un certo senso capivo anche questi ragazzi, viviamo in una società dove tutti sono uguali, non li biasimavo.
•”Non mi sentivo capito e non volevo che la gente lo facesse perché il mio dolore non lo comprendi se non indossi le mie scarpe, pensavo non ci fosse nulla di buono per me fuori. Alla fine sentimenti come delusione e rabbia sono alla base di questo fenomeno.

Un altro elemento importante che i ragazzi intervistati hanno in comune: non avere la certezza di essere o essere stati Hikikomori poiché la loro condizione non era mai stata accertata da uno psicologo.

•”Ho differenziato la depressione da essere un hikikomori perchè sono stato seguito da degli psicologi. Non mi dissero nulla riguardo l’essere un Hikikomori, secondo me manco sapevano cosa fosse questo fenomeno”.
•”Andai dallo psicologo per ben quattro volte quando avevo 18 anni, ma fu solo una perdita di tempo.

Fonti: Immagine di Evidenza

Un commento su “Hikikomori: anche in Italia i ragazzi decidono di vivere chiusi in camera”

  1. Giulia ha scritto:

    Bellissimo articolo! Complimenti! I giovani necessitano di queste informazioni!!

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