Il bosco di Palo: un tesoro da conoscere e tutelare

Scrive Stefano Ardito in A piedi nel Lazio, Iter Edizioni: “Tre milioni di romani alla ricerca del mare, ogni estate, hanno significato [per la costa settentrionale del Lazio], al di là dell’effimera invasione di bagnanti e ombrelloni, cementizzazione selvaggia, lottizzazioni e condomini, brutture a non finire, inquinamento. (…) Assediata dal cemento e dall’inquinamento del mare, la natura della costa laziale sopravvive in aree limitate (…) eppure, qualche angolo di natura c’è ancora”
Un esempio eloquente di questo stato di cose è il bosco di Palo Laziale, un ambiente singolare purtroppo semisconosciuto: uno degli ultimi residui di foresta planiziale che un tempo, alternandosi con paludi, acquitrini e canneti malarici, costituiva il cuore verde del litorale a nord di Roma. Già teatro delle sfarzose cacce dei pontefici del Rinascimento, è ora, sensibilmente ridotto nelle dimensioni, un piccolo polmone per Ladispoli nonché un tesoro di biodiversità che, in questi tempi così bui per l’ambiente nel mondo, meriterebbe senz’altro d’essere anzitutto conosciuto e poi, perché no, amato, tutelato, vissuto.
È quello che abbiamo provato a fare noi di Res Novae un soleggiato mattino di inizio novembre: addentrarci tra i sentieri nel bosco ombreggiati dai rami degli alberi, lontano dal fracasso, dagli scappamenti e dal grigiore della città per riscoprire il verde, il silenzio e i tenui rumori del bosco che, attorno a noi, brulica di vita. Per chi, come chi scrive, ha passato buona parte delle sue estati d’infanzia a giocare, scoprire, conoscere e rispettare questo bosco, tornarvi è un’autentica emozione. È un’emozione guardare nelle feritoie degli alberi, tra i cespugli e tra i rami; è un’emozione rimanere sul ciglio delle pozze e osservare le testuggini nuotare; è un’emozione vedere i girini sguazzare negli stagni, ed è un’emozione vedere infine il bosco spalancarsi davanti al mare aperto in un pratone che lascia spaziare lo sguardo fino al borgo e al castello di Palo.


Un sentiero suggestivo nel bosco di Palo (foto di Giulia Tassini)


Tutto questo è però celato ai più: dei 126 ettari del bosco, una parte è gestita dal Comune che, dopo anni di abbandono, degrado e sporcizia, ha pensato recentemente di ripulirlo e adattarlo a location per matrimoni. L’altra parte, estesa ottanta ettari è stata in passato, vista la sua importanza ambientale, oasi del Wwf (la prima del Lazio; all’inaugurazione, nel 1981, presenziò il principe Filippo di Edimburgo) ed ora è gestita dall’associazione Alsium (nome che richiama l’antico porto etrusco, poi colonia romana, del quale sono visibili ancora poche ma poderose rovine a poca distanza dalla costa). Sono ottanta ettari di concerto tra macchia mediterranea e vegetazione dell’interno, in un incontro fecondissimo sul piano naturalistico: oltre a numerose specie di anfibi, come i tritoni, che proliferano nelle numerose pozze e acquitrini di questo bosco di collina sul mare, s’incontrano con facilità testuggini, d’acqua e di terra, istrici, volpi, serpenti (tra cui il cervone, il più lungo dell’Europa meridionale) e, ciliegina sulla torta, il Lepidurus apus, un minuscolo crostaceo rimasto immutato dal Triassico e a tutti gli effetti considerato un fossile vivente. Tra gli uccelli, solcano questi cieli la beccaccia, il cormorano, il francolino e, stagionalmente, il fenicottero.

La piscina dei giunchi (foto di Giulia Tassini)

Questo piccolo gioiello naturale, però, è minacciato. All’inclemenza dell’ambiente, che per due anni si è mantenuto siccitoso, prosciugando le piscine che costituiscono la cifra distintiva del bosco, si aggiunge la noncuranza e l’ignoranza dell’uomo. La spiaggia di Palo gradualmente va ricoprendosi di immondizia, gettata dall’uomo o trasportata dal mare (Palo è peraltro il punto più a nord che raggiungono le correnti dalla foce del Tevere, che, oltre alla sporcizia, portano anche nutrimento al bosco); a peggiorare la situazione sono sopraggiunti l’anno scorso i focolai, di natura dolosa, scoppiati all’ingresso del bosco e lungo la ferrovia. Diversi ettari di natura hanno bruciato, e con essi, oltre alla fauna, anche il giardino botanico piantato dai principi Odescalchi. I danni, dunque, non si arrestano. Un tentativo di arginarli, oltre ad una utile campagna di sensibilizzazione ed educazione ambientale, che peraltro l’associazione Alsium promuove, è il progetto europeo Life, il primo del suo genere, promosso dalla Società ellenica per la protezione della natura, dall’Università di Roma “La Sapienza” e dall’Arsial. In sostanza, saranno realizzate capienti piscine artificiali e non invasive per le radici degli alberi e per gli occhi di chi guarda, che porteranno acqua e nutrimento nel caso il bosco, come in questi ultimi due penosi anni, non possa procurarsene. Ma a salvare il bosco dovrà essere e sarà la società civile di Ladispoli e non, sperando che essa si renda conto dell’importanza della salvaguardia di un luogo di enorme importanza naturalistica e, magari, d’identificazione.

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