Le ombre diventano reali: il mito della caverna e gli hikikomori

“Isolarsi” è il significato della parola hikikomori, termine giapponese che deriva dal verbo hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi). Questo termine nasce per definire un fenomeno caratterizzato principalmente da ritiro sociale (social withdrawal) e una volontaria reclusione dal mondo esterno. Può essere considerata sicuramente la forma modernizzata di quelli che sono gli eremiti poiché il loro isolamento può andare dai 6 mesi ad anni.

“C’è un mito shintoista sulla dea del sole Amaterasu.
Dopo lunghi scontri con il fratello, in segno di protesta Amaterasu si è rinchiusa in una caverna, isolandosi dal mondo. Oscurità e morte consumarono il Giappone. Solo con gli sforzi di milioni di altre divinità, Amaterasu fu attirata fuori dalla caverna e il mondo tornò alla luce e alla salute. Sebbene la storia di Amaterasu sia leggenda, oggi in Giappone decine e decine, forse migliaia, di giovani e adulti si stanno sigillando nelle loro caverne virtuali. Si chiamano hikikomori.”

Ministero della Salute giapponese

Platone e la caverna

Il problema principale di un hikikomori è quindi l’uscita. Il tema dell’uscita è proprio della filosofia. Uscita da se stessi principalmente, come in Platone e il suo mito più celebre, quello della caverna, che è un vero e proprio inno all’uscita. Il mito è sostanzialmente una grande metafora per spiegare il ruolo della filosofia e del filosofo, percorrendo il cammino lasciato dal grande maestro e mentore di Platone, ovvero Socrate. Il racconto è ambientato in una caverna. All’interno ci sono degli uomini legati, rivolti verso la parete di fondo, vedono per tutta la vita su di essa delle ombre, proiettate grazie ad un fuoco acceso alle loro spalle. Le ombre appaiono grazie a degli uomini che, protetti da un muro che ne impedisce la vista, fanno scorrere degli oggetti. Tali oggetti sono solo una mera rappresentazione di ciò che invece è reale. Ma accade che uno degli uomini si liberi dalle catene e inizi a risalire la caverna verso l’uscita, faticosamente e impiegando molto tempo.

Una volta fuori vede però gli oggetti di cui prima conosceva soltanto l’ombra. La luce del sole questa volta, diretta e reale, permette la visione degli oggetti per come sono realmente, senza filtri e imperfezioni.

L’uomo libero, ormai divenuto filosofo, scendendo di nuovo all’interno della caverna per “svegliare” gli altri uomini, viene preso per pazzo ed ucciso.

Gli hikikomori, in un universo del genere, che ruolo giocherebbero?

L’isolamento e le ombre virtuali degli hikikomori

Gli hikikomori si isolano per lungo tempo, generalmente nella propria stanza, addirittura senza mai guardare la luce del giorno. Il mondo reale dunque, quello in cui Platone vede splendere i raggi del sole, non esiste più. I motivi ovviamente sono numerosi, da quelli ambientali a familiari o di predisposizione naturale, ma l’esito è lo stesso. Non si tratta tuttavia di un isolamento totale, bensì di una partecipazione ad una diversa dimensione della società: quella virtuale.

Gli hikikomori sono infatti ottimi videogiocatori: restano in media davanti ai videogiochi anche per 10 ore al giorno o più. Naturalmente lo strumento (in questo caso il videogioco) non è mai il problema. Il problema è l’uso che se ne fa. Il videogioco è essenzialmente una riproduzione della realtà, imperfetta, limitata e a volte fantasiosa, proprio come le ombre nella caverna di Platone. Nella scalata verso l’uscita il filosofo trova fatica, ostacoli, si procura ferite e graffi. Uscendo non è abituato alla luce del sole e inizialmente prova dolore agli occhi.

Stessa cosa accade nei rapporti umani. Riuscire ad essere compresi e ben voluti implica una strada fitta di incomprensioni e dolori. Molti non hanno le risorse o il coraggio e per questo rifugiarsi nelle ombre, nella finzione, appare come l’unica cosa reale.

Lo stress della vita sociale e la ricerca della libertà

La fuga dal reale prevede, di conseguenza, la fuga dagli schemi, rigidi e tristi, dai doveri e dalle regole, scritte e non, dell’infinita trama dei rapporti umani. Ciò che molti ex hikikomori raccontano è che nella reclusione volontaria riuscivano a trovare un ampio respiro, come se stare in società prevedesse quell’inevitabile porsi a contatto, che implica anche la necessità di avvicinarsi, di dover condividere e di doversi esporre. Tutti gli hikikomori infatti hanno qualcosa per cui rigettano la società, che abbiano subito bullismo, delusioni amorose, scolastiche o lavorative hanno motivi per odiare la vita socievole e quindi cercare l’isolamento. Le ombre dunque, che siano quelle in una caverna, che sia un videogioco o una chat anonima, sostituiscono le figure reali che sì sono vere, ma dolorose, soprattutto per chi, per una ragione o per un’altra, non ha le forze per affrontarle.

da Associazione Hikikomori Italia

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