In ospedale ai tempi del Covid: intervista a due medici

Negli ultimi due mesi non si è parlato altro che del Covid-19, un nemico invisibile che si è insinuato silenziosamente nelle nostre vite. Soltanto in Italia ha causato oltre 27mila decessi. Difficile sapere di preciso il numero delle persone colpite, poiché il valore dipende dal numero dei tamponi eseguiti e molte persone risultano asintomatiche. Il virus causa una malattia respiratoria, che nella maggior parte dei casi si sviluppa come una polmonite bilaterale interstiziale. Gli ospedali sono stati messi a dura prova dall’ondata dei contagi e durante il picco le terapie intensive si sono rivelate insufficienti a coprire tutti i posti richiesti. 

In breve tempo ci siamo ritrovati a combattere una guerra inaspettata a cui non eravamo pronti. Medici e infermieri sono diventati i nostri eroi poiché hanno rischiato la propria vita per salvare quella dei pazienti. Molti operatori sanitari hanno risposto all’appello del ministero della Salute e si sono trasferiti nelle regioni più colpite per aiutare l’Italia a rialzarsi. Purtroppo molti di loro sono deceduti, sconfitti dal nemico.

Abbiamo voluto raccogliere la testimonianza del personale più impegnato in questa lotta immane. Abbiamo intervistato due endocrinologi pediatrici, dei quali però non faremo il nome, che si sono ritrovati a operare in un reparto Covid-19.

Alla prima dottoressa abbiamo chiesto quanto sia cambiato il loro lavoro dall’inizio dell’emergenza:

“Il mio lavoro è cambiato drasticamente, dall’organizzazione quotidiana ai turni presso il centro Covid. Non c’è più la routine a cui eravamo abituati che un tempo, forse, poteva apparire monotona ma che ora pagheremmo oro per riaverla. Ormai non riesco a vedere i miei pazienti come prima. Nel momento più buio della storia recente e nel bel mezzo di una pandemia – racconta – la necessità si è trasformata in una virtù e anche i medici e gli infermieri che non erano abituati a combattere contro le malattie infettive si sono ritrovati a dover cambiare totalmente. Hanno persino dovuto annullare le visite con i loro pazienti per dedicarsi al virus. Vista la crisi e le conseguenti restrizioni riguardanti l’accesso agli Ospedali hanno attivato il servizio di Telemedicina che permette al medico di assistere da remoto i propri pazienti videochiamandoli”.

Ha paura di contrarre l’infezione?

“La paura è tanta sia per me che per la mia famiglia composta da mio marito, i miei figli di 16 mesi e 10 anni e i miei genitori con pluripatologie. Questo rischio fa parte del mio lavoro, così lo prendo e cerco di controllarlo il più possibile. Tutte le sere, quando torno a casa, sanifichiamo e laviamo i vestiti con cui sono andata a lavoro. Inoltre cerco di portare sempre le stesse scarpe e di lavare spesso i pavimenti e le superfici che potrebbero essere infette”.

Fonte immagine: fnopi.it

Da questa dichiarazione capiamo che il loro impegno non termina con il loro turno di lavoro ma continua anche a casa, dove subentra il pensiero di tutelare i propri cari. Il pericolo di essere un veicolo di infezione genera ansia, aggravando la situazione già drammatica. Infettare i propri familiari è un rischio con il quale devono imparare a convivere. Veder soffrire le persone che amiamo è più doloroso che soffrire in prima persona. Leggiamo le risposte della seconda dottoressa:

In che modo il giuramento di Ippocrate la condiziona nell’operare?

“Ho giurato di prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità e penso che in questo momento sto onorando il mio giuramento. Alcune volte, però, mi sento un po’ inutile visto che sono un medico pediatrico e non sono dentro la pandemia come i miei colleghi di Bergamo. In questo momento rischio la vita tutti i giorni ma per fortuna questa non è la normalità.”

Come si può instaurare un rapporto umano con il paziente anche quando non è possibile il contatto?

“Purtroppo il rapporto fisico con il paziente viene meno, quasi si ha la paura di toccarlo e di visitarlo. Con i miei pazienti abituali però riesco comunque a mantenere il rapporto umano poiché basta rispondere ai loro messaggi o alle loro chiamate e in questo momento a loro basta questo”.

Entrambe le dottoresse hanno detto inoltre che avvertono una grande gratitudine nei loro confronti. Alla fine di ogni chiamata i pazienti ringraziano sempre per il lavoro che svolgono e i medici si augurano che questo sentimento possa continuare. Far parte del personale sanitario non è mai stato facile, perché ti ritrovi spesso a dover fronteggiare situazioni difficili e soprattutto spiacevoli. Spesso sei responsabile della vita di un’altra persona e le tue scelte potrebbero avere gravi ripercussioni.

Naturalmente è una professione che presuppone una forte motivazione poiché devi sempre essere in grado di dare il massimo delle tue capacità. Tutto allo scopo di migliorare la vita del paziente alleviandogli le eventuali sofferenze.

Proprio per questo rivolgiamo un forte ringraziamento a tutto il personale sanitario che ogni giorno dà il proprio contributo alla nostra salute.

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