Avremo paura o fiducia? Come saremo dopo la quarantena?

I primi di marzo ci siamo ritrovati “sbattuti fuori” dalla vita da un nemico invisibile, di cui ho realizzato la gravità solo da poco, in termini di tempo e di attesa. Le nostre vite sono cambiate repentinamente e siamo stati costretti a vivere in un modo innaturale, a convivere con una situazione a cui non eravamo preparati e senza precedenti.

Essendo obbligata a mettere in pausa la mia vita nella collettività, a fermare la sua frenesia, ho avuto occasione di prendermi del tempo per riflettere e pensavo a quanto sia impotente l’uomo di fronte alla natura, a quanto sia debole e impreparato quando si trova in emergenze simili. La cosa che mi preoccupa è lo spirito che avremo quando potremo di nuovo uscire. Ora stiamo vivendo un periodo di seria e profonda privazione della libertà, non dovuta ad una ideologia, come è stato in passato nel periodo della guerra, ma dovuta a un nemico invisibile. E allora tutto questo cosa ci lascerà? Cosa ci porterà? Avremmo paura del contatto? Avremo fiducia gli uni negli altri o ci sarà sempre quel velo di diffidenza? Avremo imparato qualcosa da questa situazione? Sicuramente abbiamo imparato ad apprezzare il profumo di una persona, i suoi sorrisi, tutte quelle impercettibili espressioni che solo dal vivo si notano. E so che usciremo con la consapevolezza che niente è scontato.

Studenti davanti al cancello del Liceo “Pertini”

Senza dubbio in questo periodo mi sono resa conto di quanto alcune persone siano importanti per me e per il mio benessere psicologico. Non vedere i miei amici per così tanto, mi rende sempre più impaziente di poter tornare alla normalità. Si dice che l’attesa aumenti il desiderio. Non c’è cosa più vera. Quando potremo riabbracciarci sarà ancora più bello, perché avremo alle spalle la consapevolezza di quanto sia imprevedibile la vita e di quanto possa cambiare da un giorno all’altro. Non avendo la possibilità di vederci, ci siamo dovuti adattare. E in questo Internet ci è molto utile. Facciamo videochiamate infinite, nonostante non abbiamo molto di cui parlare dal momento che le nostre giornate sono piuttosto ripetitive, ma basta vederci, sentirci e ridere. Anche se siamo tutti lontani, sappiamo che i nostri cuori sono vicini e si cercano con più forza di prima. Ovviamente non è come stare insieme: manca il contatto, manca la possibilità di guardarsi negli occhi. Ma si può ancora ridere insieme. La cosa che mi fa più male è sicuramente non avere la possibilità di averli vicino nei momenti di sconforto. Chiamarsi può far stare meglio, ma neanche mille parole valgono un abbraccio. Quando sento la loro voce tremare in un messaggio vocale, sto malissimo. Sto male perché so che stanno soffrendo e che non posso fare nulla. Non avere la possibilità di stargli vicino è la cosa peggiore.

Il bar del Liceo, prima della quarantena

Un’altra cosa che ho notato è che in questo periodo siamo diventati tutti più dolci e malinconici. Spesso ci mandiamo messaggi lunghissimi alle tre di notte dove parliamo di quanto ci vogliamo bene e di quanto vorremmo rivederci. Durante la notte ci mostriamo più deboli e più dolci. Forse perché tutti pensiamo che domani ci sveglieremo e non ci vedremo davanti scuola, con il dizionario di latino tra le braccia e lo zaino strapieno sulle spalle. Pensiamo che non entreremo in classe con il cornetto preso al bar, preoccupandoci della lezione di scienze, e che non passeremo l’ora di filosofia a scribacchiare sui banchi o sulle braccia dei compagni. Impostiamo la sveglia per scendere dal letto la mattina e accendere il computer. Ci alziamo e ci colleghiamo ancora in pigiama con i nostri compagni di classe e i professori, che riescono a spiegare nonostante la linea disturbata e la pessima qualità. Ma sono felice di farle, felice di vedere le facce dei miei compagni e dei miei professori e felice di sentire le loro voci.

Mi sono accorta di aver sempre dato per scontato molte cose e vorrei non averlo fatto. Vorrei essere stata capace di apprezzare una serata al sushi con gli amici, un sorriso dopo aver litigato, un bacio sulla guancia e tutte le battute stupide, perché sono proprio quei momenti felici che mi mancano ora. Vorrei aver fatto durare di più quell’abbraccio, averci messo più tempo a bere quel ginseng. E tutti quei momenti li rivivo ogni volta che sfoglio le foto nella mia galleria, cosa che ho capito non devo fare più per non aprire i rubinetti. Più penso a cosa mi manca, più mi vengono in mente tutte quelle persone che, con la loro semplicità e immensa delicatezza hanno riempito la mia quotidianità.

Una videolezione

In questi giorni ho anche imparato ad apprezzare la scuola. Pagherei oro per tornarci, per vedere qualcuno addormentato sul banco, per ridere durante le lezioni, perfino per essere interrogata. Ho realmente capito il valore immenso che ha un posto dove potersi confrontare e ritrovare. La parte della scuola che manca ora non è tanto quella dei compiti e delle interrogazioni, quanto quella del confronto con persone diverse. Manca il dialogo e la collettività. Manca entrare in classe e sorridere ai compagni, fare i compiti all’ultimo secondo, girare per scuola e vedere facce conosciute. Manca il rapportarsi con persone che si trovino fisicamente davanti a noi e che possano coinvolgerci maggiormente nella lezione e nella vita della classe. Manca chiedere a Rita le chiavi della LIM, prendere il caffè al bar di scuola e uscire a ricreazione. Manca aspettare i professori fuori dalla classe, andare in bagno a parlare. Mancano le cose più stupide che ora sembrano diventate le più importanti.

Credo che l’unica cosa che ci resti da fare è cercare di vedere il positivo, per quanto possibile, nel negativo. E cercare di farlo insieme.

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