Come il cervello impara a gestire protesi robotiche

Da tempo scienziati e ingegneri sono interessati a dare al corpo umano arti o dita aggiuntive. Nel 2016, i ricercatori della Georgia Tech hanno messo a punto un braccio robotico che i batteristi possono attaccarsi con una cinghia alle spalle. Il braccio risponde al tempo e al ritmo della musica. Oppure, un esoscheletro controllato dalle onde celebrali ha permesso un uomo francese paralizzato di muovere tutti e quattro i suoi arti. Funziona tramite elettrodi impiantati sulla superficie del suo cervello. Ora, un progetto chiamato “The third thumb” (il terzo police), ha mostrato come il cervello riesce ad adattarsi a una parte del corpo aggiuntiva. 

Che cos’è “The third thumb“?

The third thumb è il lavoro di Dani Clode, ricercatrice e designer presso il Laboratorio di Plasticità allo “University College” di Londra. Il suo dispositivo è una protesi, non sostitutiva bensì migliorativa, per aggiungere capacità al corpo umano, realizzata con la stampa in 3D, controllata dai piedi. Sotto gli alluci si trovano dei sensori di pressione che rilevano il movimento e trasmettono l’informazione via Bluetooth ad un bracciale equipaggiato con due motori che controllano il pollice attraverso guaine flessibili simili a quelle dei freni della bicicletta. Il pollice flessibile ha due direttrici di movimento libero (ciascuna controllata da un alluce) e si muove quasi come quello vero.   

In un recente studio pubblicato su BioRxiv (un archivio online di articoli in versione preprint che devono ancora essere sottoposti a peer-review o pubblicati su una rivista), Clode e i suoi colleghi hanno indagato su cosa succede nel cervello quando le persone hanno un dito in più. Nel corso di cinque giorni, hanno addestrato i volontari a usare il pollice, chiedendo loro di svolgere vari compiti come costruire torri di mattoncini, alzare bicchieri di vino e raccogliere delle biglie da una tazza. Prima e dopo l’addestramento, i volontari sono stati sottoposti a una scansione del cervello usando la fMRI (risonanza magnetica funzionale). 

L’attenzione dei ricercatori si è concentrata su una particolare regione chiamata “corteccia somatosensiorale primaria”, che viene attivata quando muoviamo le dita. Volevano scoprire se l’allenamento con il pollice poteva influenzare quest’area. I primi risultati hanno suggerito che è possibile: dopo il training, i volontari hanno in generale mostrato meno differenze tra i modelli di attività celebrale per le singole dita. In altre parole, i modelli di attività del dito erano meno definiti e questo suggerisce che l’allenamento con il pollice ha indebolito la rappresentazione della mano nel cervello. Un esempio della sua plasticità, della sua capacità di “ricablare” se stesso quando affronta esperienze o situazioni nuove. Sono necessarie ulteriori ricerche per capire quale potrebbe essere l’effetto di queste sue potenzialità. I risultati saranno di grande interesse per chi svilupperà la prossima generazione di dispositivi protesici controllati da cervello. Questa riuscita integrazione uomo-robot potrebbe, però, avere delle conseguenze su alcuni aspetti della rappresentazione corporea e del controllo motorio che devono ancora essere presi in esame ed esplorati.

Fonte immagini: https://www.daniclodedesign.com/thethirdthumb 

 

Un commento su “Come il cervello impara a gestire protesi robotiche”

  1. Giovanni Paolo ha scritto:

    Bell’articolo e interessante l’argomento, anche se mi sarebbe piaciuto un approfiondimento sul lavoro di Hugh Herr, che negli ultimi anni ha cominciato a sviluppare delle protesi (sopratutto per le gambe) in grado di ridare all’utilizzatore il senso del tatto, del caldo e del freddo, e tutti gli altri sensi che abbiamo noi. Questo non solo rende l’utilizzo della protesi più naturale e completo, ma fa sentire la protesi come parte del corpo dell’utilizzatore, e non come un oggetto a parte, “appiccicato” al suo corpo. Questo ha un grande effetto sul campo della riabilitazione, che è, a mio parere, l’utilizzo più importante di questo tipo di dispositivi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.