Le città e l’emergenza Covid: la lezione di Italo Calvino

Immaginare città diverse da quelle in cui viviamo ora, specialmente durante il periodo del primo lockdown, potrebbe essere una fonte preziosa di idee utili per il futuro. Anche Italo Calvino si è cimentato in questo esercizio, lasciandoci le sue Città Invisibili.

Edizione di Mondadori

Per molti, l’ambiente urbano è sinonimo di quotidianità. Tutte le sue caratteristiche, dalle più piacevoli alle più fastidiose, fanno parte della scenografia in cui si svolge la vita di milioni di persone. Proprio quest’importanza della città all’interno delle nostre vite ha spinto i letterati a osservarle, immaginarle diverse, tentare di cambiarle, o addirittura costruirne di nuove. Anche noi, soprattutto in questo periodo, sentiamo il bisogno di immaginare le città non solo per come ci appaiono, ma anche per come le vorremmo trasformare.

Italo Calvino, Le città invisibili

Un raccoglitore, una cornice, tante storie. Sono questi gli ingredienti delle Città Invisibili di Italo Calvino, pubblicate per la prima volta nel 1972. L’opera è composta dalla descrizione di 55 città, tutte con nome di donna, raggruppate in 11 serie. I racconti sono posti all’interno della storia dell’incontro tra Marco Polo e l’imperatore Kublai Kan, desideroso di ascoltare dallo straniero le città che ha incontrato durante il suo viaggio. Che queste città fossero reali o frutto della grande opera della fantasia, non era importante.

Qualche tempo dopo la pubblicazione del libro, Calvino raccontò di averlo composto in modo sparso e sregolato, un pezzetto per volta, attraverso fasi diverse, come possiamo leggere nella prefazione all’edizione di Mondadori:

Per qualche tempo mi veniva da immaginare solo città tristi e per qualche tempo solo città contente; c’è stato un periodo in cui paragonavo le città al cielo stellato, e in un altro periodo invece mi veniva sempre da parlare della spazzatura che dilaga fuori dalle città ogni giorno. Era diventato un po’ come un diario che seguiva i miei umori e le mie riflessioni.

Da Google immagini

Scorrendo tra le città descritte da Calvino, è facile sprofondare tra le braccia del racconto per vivere l’esperienza di un panorama multiforme, composto da realtà tutte diverse, reali o fittizie, e perdersi nelle riflessioni non solo sui luoghi, ma su quello che quei luoghi significano per chi ci vive, per chi ci passa, per chi li ascolta. Il risultato è un mondo di situazioni e luoghi, in cui ad ogni capitolo si riaprono gli occhi per tornare nel palazzo dell’imperatore Kublai Kan, dove hanno luogo discorsi in cui si cerca il senso del viaggio e del raccontarlo, svelando poco a poco i tratti di una conversazione tra due uomini allo stesso tempo uguali e opposti.

Le città e la pandemia: un’occasione per riflettere

La situazione particolare in cui ci siamo ritrovati è sicuramente spunto di varie riflessioni, non solo sulla gestione momentanea dell’emergenza ma anche sulla progettazione futura delle nostre vite. In particolare, in molti si sono proposti di immaginare le città in relazione alla pandemia. Tra i tanti, ricordiamo un articolo di Stefano Biolchini e Annarita D’Ambrosio, pubblicato sul Sole 24 ore lo scorso 2 giugno. Presentando il numero zero della rivista Disegnoallitaliana, che raccoglie anche interventi di personaggi di spicco del mondo politico e intellettuale, e intervistando G. Pino Scaglione, membro del laboratorio RiAgIta, prendono coscienza della crisi della città resasi evidente in questo periodo, vedendo la causa nella perdita dell’equilibrio Uomo-Natura. Si rende necessario, quindi, ristabilire questo equilibrio nella progettazione delle città del futuro. Un contributo rilevante in questa discussione è stato apportato da Planet B, che in una serie post raccoglie domande, appunti, proposte e commenti, con l’intento principale di osservare le città durante il lockdown (solo apparentemente vuote, come si dice nel primo episodio), raccogliendo spunti per ripartire in modo diverso).

da www.ansa.it

Le città dopo la pandemia: un’occasione per cambiare?

La lista di persone, ragazzi e adulti che siano, che, durante la pandemia, si sono proposti di immaginare una “città del dopo”, sicuramente non è ancora finita. Tra le tante idee si segnalano le proposte di Greenpeace per ripartire in modo sostenibile e un articolo di Tommaso Giagni per L’Espresso, in cui tra le altre cose si contrappongono le posizioni di Alessandro Coppola, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano e Giovanni Semi, docente di Culture Urbane presse l’Università di Torino. Secondo Coppola, molto riguarderà le forme spaziali dell’organizzazione sociale: egli arriva addirittura ad immaginare “relativa re industrializzazione di alcuni territori e in generale una maggiore ricchezza funzionale”. Semi invece si dimostra più cauto, riflettendo sul fatto che il capitalismo e la naturale tendenza umana alla socialità freneranno almeno in parte questi processi. Chi invece si è dimostrato totalmente pessimista nei confronti delle possibili innovazioni che potrebbe portare la pandemia è Francesco Guccini che, in un’intervista, con una rassegnazione agghiacciante, non ha paura di dire che gli umani non imparano, non hanno mai imparato dalle catastrofi e quindi non si può pensare di trovarci migliorati da questa condizione.

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