Internet e l’inquinamento invisibile

Mai come in quest’ultimo anno abbiamo compreso l’importanza della tecnologia. Studi recenti hanno riportato l’aumento di circa il 20% del traffico Internet dal mese di marzo 2020 in molti Paesi. In tempo di pandemia sono nate nelle scuole la DAD e la DDI. Riunioni lavorative, lezioni di musica, di danza, di sport si sono svolte online, grazie all’utilizzo di applicazioni come Zoom, Skype e Google Meet. Accendere e spegnere la webcam è ormai una routine per ognuno di noi. Non ci rendiamo conto però dell’effettivo impatto che tutto ciò ha con l’ambiente circostante, relativo all’emissione di CO2.

Recenti studi della Purdue University, in collaborazione con l’Università di Yale e il Massachusetts Institute of Technology, testimoniano come anche internet sia una fonte di inquinamento. Infatti, un uso eccessivo dei dati della propria rete può portare a un aumento delle emissioni di CO2 nell’ambiente. La distribuzione della banda larga e l’alimentazione degli enormi data center nel mondo richiede una elevata richiesta energetica, con conseguente emissione nell’ambiente di gas nocivi, ma anche con il consumo di acqua e suolo. Così, la webcam accesa, lo scambio di e-mail, una chat su Whatsapp, comportano uno scambio di dati continuo. 

Il traffico internet produce un inquinamento invisibile, con consumi energetici talvolta pari o superiori a quelli di una nazione. Per una videochiamata, si consumano da poco meno di 1 MB a un massimo di 2 al minuto. Inoltre, all’aumentare del numero di persone in videochiamata e della risoluzione, cresce anche il consumo di Giga. La Purdue University ha confermato che è possibile produrre fino a 1000 grammi di CO2 per una videochiamata di un’ora, consumando dai 2 ai 12 litri di acqua.  Inoltre, il problema non si limita solo alla webcam. Infatti, un’e-mail da 1 megabyte, nel processo in cui viene spedita, ricevuta, archiviata o cestinata, emette 20 g di CO2, l’equivalente di una lampada accesa per 25 minuti. In un’ora, vengono inviati oltre dodici miliardi di e-mail, il cui impatto ambientale è equivalente a 4.000 tonnellate di petrolio. 

In tutto ciò, i data center si occupano proprio dello smistamento dei dati. Si tratta di capannoni che ospitano cavi, monitor e computer, utilizzando circa 200 terawattora (TWh) all’anno. Enormi centri che, oltre a necessitare di importanti quantità di corrente, hanno bisogno di ambienti climatizzati.  Per questo, molte grandi società già da qualche anno prediligono Paesi freddi come l’Islanda per costruire i propri data-center, e ciò consente un enorme risparmio in termini energetici. L’archiviazione dei dati consuma l’equivalente di cinque centrali nucleari, e il volume dei dati memorizzati raddoppia ogni due anni. Nonostante questo,  per fortuna non mancano però esempi di Data Center “green”, che prestano particolare attenzione alle energie rinnovabili. Il Nevada Center ne è un esempio, elabora proprio soluzioni tecnologiche cloud ibride e sostenibili, ed è alimentato al 100 % da energia rinnovabile. 

“Nevada Center”

Secondo gli esperti, sono molti i piccoli accorgimenti che possiamo adottare. Ad esempio, è preferibile la scelta di una risoluzione d’immagine più bassa quando guardiamo film e serie TV sui vari siti streaming. Ciò potrebbe ridurre l’impatto ambientale del 86%. Inoltre, se non strettamente necessario, è preferibile partecipare a una riunione con la fotocamera spenta, e questo potrebbe ridurre ulteriormente l’impatto ambientale del 96%. Il vero ostacolo è la percezione del singolo. Si tratta di un inquinamento invisibile agli occhi, ma ugualmente pericoloso per l’ambiente. Dobbiamo prenderne atto, possiamo adottare semplici accorgimenti, e cambiare il nostro modo di rapportarci con la tecnologia. 

Un commento su “Internet e l’inquinamento invisibile”

  1. Federico Cozzi ha scritto:

    Fortunatamente stiamo iniziando ad accorgerci di quanto inquina il web.

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