Endimione e Selene, l’amore che nasce dagli occhi

[…] sulle cime sassose, il sole era rovente come nel pieno dell’estate; il giovinetto, addossato alla roccia, sonnecchiava, la testa reclinata sul petto, i capelli sfiorati dalla brezza, simile a un Endimione del giorno.

È grazie a questo passo delle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar che ho scoperto il mito di Selene ed Endimione. Adriano descrive, immerso in un locus amoenus, l’amato Antinoo, e lo paragona dolcemente a un “Endimione del giorno”. Addormentato in un giorno d’estate, Antinoo possiede, per Adriano, un’eterna bellezza, che mai muta, mai sfiorisce.

Il mito narra di Selene, dea della luna, e del suo amore per un giovane pastore dell’Asia Minore, Endimione. Egli, di notte, amava guardare la luna e si perdeva a seguirla nel cielo, ogni volta prima di addormentarsi, chiamandola, parlandole. Selene percepiva i suoi sguardi e sentiva le sue parole. Decise perciò di andarlo a trovare e penetrò con i suoi raggi nella grotta dove il ragazzo si addormentava. Endimione significa, infatti, colui “che si trova dentro” (Ἐνδυμίων: da ἒνδον, “dentro” ed εἰμί, “essere”). 

Selene se ne innamorò all’istante. Era così bello che alla dea sembrava insopportabile che potesse mutare, muoversi da quella perfezione. Per questo, supplicò Zeus di preservarlo così com’era, proteggerlo dal mutamento. Zeus esaudì la sua preghiera ed Endimione non si svegliò più. Rimase eternamente giovane e bello. Ogni volta che Selene scompare dietro il monte Latmo, va a trovare il suo amore che dorme in una grotta. Dalla loro unione nacquero cinquanta figlie, tra cui Pandia, il plenilunio.

L’amore nasce dagli occhi. Quando Selene sente su di sé gli sguardi e le dolci parole di Endimione, non può far altro che ricambiare il suo amore. Risponde alla legge divina di Afrodite: chi è amato non può non ricambiare. Eros vince su tutti, anche sugli dei.

Questo concetto è stato chiaro a molti autori nella storia della letteratura. Nel canto V dell’Inferno di Dante Alighieri, Francesca dice: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”. L’amore non permette a nessuno che è amato di non riamare a sua volta, secondo il principio cortese formulato nel De Amore di Andrea Cappellano.

Giacomo da Lentini, in “Amore è un desio che ven da’ core”, descrive l’amore come frutto dello sguardo (“e li occhi in prima generan l’amore”), per poi essere coltivato dal cuore (“e lo core li dà nutricamento”). Sempre Dante, in “Tanto gentile e tanto onesta pare”, collega gli occhi, organo della vista, all’amore (“mostrasi sì piacente a chi la mira, / che dà per li occhi una dolcezza al core, / che ‘ntender no la può chi non la prova) e parla delle reazioni che il sentimento amoroso provoca nel poeta alla vista dell’amata (“ch’ogne lingua deven tremando muta, / e li occhi no l’ardiscon di guardare”).

Anche la poetessa greca Saffo, nel fr. 31 Voigt, descrive “i segni fisici dell’amore”: il cuore sobbalza nel petto, la lingua si paralizza, una febbre sottile attraversa il corpo, la vista si annebbia… I versi di Saffo sono successivamente ripresi e rimodellati da Catullo nel Carme 51, Ille mi par esse deo videtur.

Tuttavia, Selene non vuole essere vista da Endimione, perché lo sguardo che genera amore può essere fatale. Anche la dea Artemide, nel mito, quando viene vista dal cacciatore Atteone, decide di trasformarlo in cervo e lo fa sbranare dai suoi stessi cani, segnando il passaggio da predatore a preda. Selene, dunque, preferisce l’inconsapevolezza del sonno perché non vuole che Endimione fugga, come Dafne da Apollo, Aretusa da Alfeo, Siringa da Pan, e muti come le ninfe: la prima in lauro, la seconda in fonte, la terza nella canna-zufolo. Perderlo è inaccettabile.

L’amore tende all’eternità. Selene vuole che sia immutabile, ha paura del cambiamento. Per questo rivolge la preghiera a Zeus. L’eterna bellezza e giovinezza di Endimione è la stessa, in forme diverse, descritta da William Shakespeare nel sonetto 18, “Shall I compare thee to a summer’s day”. Mentre per Endimione è il sonno garante di immortalità, per il misterioso giovane amato da Shakespeare è la poesia stessa, più in generale la letteratura o l’arte, che rende eterno ciò che l’autore vuole tramandare (“but thy eternal summer shall not fade”). Ma in entrambi i casi è l’amore che spinge all’eterno.

Tuttavia, la paura del mutamento, dell’autunno e dell’inverno dopo l’estate, è forse la causa della morte di Antinoo, che si suicida, secondo Adriano, per paura di invecchiare, perdere la propria bellezza e, con essa, il suo amore.

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