“Uno, Nessuno, Centomila”: dal romanzo di Pirandello alla digital art

Come fa un romanzo scritto quasi 100 anni fa a essere così attuale? Nell’arco di un secolo le interazioni sociali, tema centrale dell’opera di Pirandello, sono mutate moltissimo: non solo c’è stata una rivoluzione culturale dopo i movimenti giovanili nati dagli anni Settanta fino alla fine del Novecento, ma anche una rivoluzione tecnologica. Mi riferisco ovviamente ai social media e a Internet nel suo complesso, i quali a partire dai primi anni 2000 (Facebook nasce nel 2004) si sono infiltrati nelle vite di tutti, e oggi sono forse l’unica fonte di interazione sicura, data la pandemia in corso.

Ma esattamente come si arriva dalla riflessione pirandelliana sull’esistenza, la coscienza, la psiche, l’identità, a immagini come questa che segue? 

Chrystal Ding – Performance II : Skin

Questa foto è una delle opere esposte nella mostra online Uno, Nessuno, Centomila organizzata da “Electric Artefacts” e “Umanesimo Artificiale”. I due enti si occupano entrambi di digital art, ovvero arte realizzata e diffusa in digitale. “Umanesimo Artificiale” in particolare si impegna a promuovere artisti che indagano sull’esistenza umana in relazione all’intelligenza artificiale, al valore della propria identità in rete e del rapporto con le macchine; sono italiani (fa piacere vedere un progetto d’avanguardia  made in Italy per una volta!) e vi invito a leggere il loro manifesto, se vi hanno incuriosito.

Ma concentriamoci sulla mostra.

Logo di Umanesimo Artificiale

Uno, Nessuno, Centomila riprende dal romanzo di Pirandello la questione suggerita dal titolo: la frammentazione dell’identità. Le nostre identità fisiche e digitali si avvicinano sempre di più fra loro, le forme in cui vivevamo in società, i.r.l. (“In Real Life”, espressione comune usata in rete per riferirsi alla realtà offline) si sommano alle forme in cui viviamo sui social. Internet da realtà parallela ma distinta, zona franca in cui essere o fingersi chi si vuole, diventa un fattore fondamentale per chi ci sta attorno per inquadrarci: dal tipo di foto pubblicate si deduce una personalità o un ruolo, dagli account seguiti si deducono gli interessi e le passioni. Si potrebbero definire i social come un altro mezzo con cui esprimere la propria identità, ma quanto, in realtà, non sono altro che una superficie riflettente che distorce la nostra essenza? I 9 artisti della mostra, visitabile fino al 9 aprile, hanno cercato di rispondere, allargando l’indagine al concetto in sé di identità online, e ponendo un’ altra domanda ancora: che ruolo hanno le intelligenze artificiali in tutto questo?  

Partirei da Machinoia: machine of multiple me di Pat Pataranutaporn, un ricercatore del MIT che si occupa di intelligenze artificiali generative. Machinoia è fruibile sotto forma di video ma è stata ideata principalmente, come si può vedere da alcune foto allegate al video, per essere indossata. In realtà è più semplice di quanto si possa pensare, si tratta di due iPad fissati sulle spalle del fruitore, la parte interessante è quella concettuale: accanto al nostro volto abbiamo due versioni alternative di noi, che sembrano vive, rappresentano chi eravamo e chi potremmo essere nel futuro. Machinoia è stata realizzata attraverso un’intelligenza artificiale, la quale attraverso alcuni algoritmi ha imparato a generare volti umani partendo da una foto del fruitore e a farli muovere secondo i dati social dello stesso. Con quest’opera l’artista sembra rispondere con fermezza: la nostra identità è la coesistenza di noi del presente, del passato e del futuro. Ma soprattutto si allontana moltissimo dalla visione delle macchine pirandelliana espressa in opere come I quaderni di Serafino Gubbio operatore, dove la macchina annichilisce l’uomo e lo riduce a suo servitore, mentre qui la macchina estende le capacità umane, in senso molto fisico. Aiuta anche a dimostrare l’insignificanza dei nostri interrogativi riguardo la nostra identità: i suoi calcoli possono generare versioni alternative di noi potenzialmente infinite, estendendo la nostra identità talmente tanto da confermare l’ipotesi di Pirandello e dimostrando l’impossibilità di ridurci a un unico elemento.   

Mi piacerebbe poi parlare di Oneiric Mirror: Faceless I di Giovanni Muzio (se avete notato qualche somiglianza, l’immagine in evidenza dell’articolo è Faceless II, anch’essa esposta nella mostra). In quest’opera la macchina assume il ruolo di oracolo, di interprete solenne e sincero della realtà, uno specchio rivelatore. Proprio per questo il titolo dell’opera, di cui Faceless I è solo la prima di tre immagini, è Oneiric Mirror, Specchio Onirico: anche in questo caso, la foto è stata realizzata attraverso l’intelligenza artificiale, la quale ha imparato a unire immagini di umani e di elementi naturali rappresentando quello che di fatto è il rapporto uomo natura agli occhi di una macchina. L’immagine ai nostri occhi è amorfa, forse inquietante, facciamo fatica a distinguere chiaramente gli elementi umani da quelli naturali…eppure sono lì, in una somma matematica e perfetta agli occhi della macchina. Anche Pirandello si esprime sul rapporto uomo natura, proprio nel finale di Uno, Nessuno e Centomila: Vitangelo Moscarda, il protagonista, riesce a liberarsi dalla spirale di follia causata dal suo tormento (o meglio, in primo luogo causata dalle forme che imprigionano ognuno di noi) solo quando si libera dei suoi averi e si allontana dalla società; infatti dona tutto alla chiesa e si ritira in un ospizio, dove può vivere a contatto con la natura. Esiste quindi una soluzione, il ritorno a una vita campestre e solitaria, in cui però la libertà di seguire il fluire continuo della vita non è data tanto dal carattere salvifico e pacifico della natura, quanto dall’isolamento e dalla rinuncia alla coscienza. Sicuramente il legame primordiale fra uomo e natura ci ricorda un tempo lontano da una società sempre più complessa e alienante, da una frenesia costante e folle, ma qual è davvero il nostro rapporto con l’ambiente oggi? Non molto diverso da quello che avevamo nella prima metà del Novecento, non così bucolico quanto vorremmo. Eppure la macchina ci suggerisce un connubio molto più profondo di quanto si possa immaginare, anche se è difficile da vedere per noi.

Infine vorrei invitarvi a visitare la mostra per conto vostro: troverete maggiori approfondimenti su tutte le opere oltre che a quelle trattate in questo articolo oltre a scoprire gli altri 7 artisti. Il fatto che sia una mostra online a mio parere legittima ancora di più il tema delle opere, senza perdere l’effetto suggestivo dello scoprire ed ammirare un’opera d’arte. Certo, non è come camminare in una galleria, ma sono sicuro che mostre di questo tipo in futuro non faranno che migliorare, soprattutto grazie ai visori per la realtà virtuale.  

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