Robert Eggers, regista moderno ispirato da Murnau

Milleottocento, un faro, due uomini dentro, istinti omicidi che li assalgono e forze innaturali che si dispiegano attorno a loro. Il tutto tra sirene, gabbiani guerci, spettri del passato, entità tentacolari, un Dio nella luce. Cos’è? The Lighthouse, la seconda impresa cinematografica di Robert Eggers, che a sei anni dal suo debutto cinematografico, non dà segni di voler abbandonare la macchina da presa: fra dozzine di ambiziosi progetti – fra cui il remake del Nosferatu di Murnau – pare che per l’8 Aprile del prossimo anno a uscire dalle sale sarà The Northman, un progetto ambizioso per il quale è stato coinvolto un cast stellare (Willem Dafoe, Nicole Kidman, Alexander Skarsgard, Anya Taylor-Joy, Ethan Hawke) e che a detta di chi ha lavorato alla pellicola si tratterà di “un’esperienza cinematografica imperdibile”.
Eggers fra qualche mese compirà trentotto anni, è giovane e davanti a sé prende forma e sostanza un futuro che ha tutte le carte in regola per poter essere radioso. Un’impresa esemplare, specie se si considera il suo status di artista atipico, impegnato in piccole-medie produzioni e maldisposto a seguire le mode dei suoi colleghi, che cimentandosi nel genere horror adottano un taglio adatto a comunicare con ogni tipo di pubblico, ricco di jumpscare, di spaventi da una botta e via, che dopo qualche istante fanno sussurrare allo spettatore “È tutto a posto”. Eggers non la pensa così, reinventa l’horror alla luce della tradizione letteraria, riprende Shakespeare, Poe, Conrad, M. R. James, Milton, Melville, Lovecraft, Coleridge; lo mescola al cinema di Bergman, di Fritz Lang; lo fa squadrare da minuziose ricerche che ne scandagliano i recessi più profondi, arrivando così a confezionare un prodotto che di storico ha quasi tutto, a partire dai costumi, passando per il tradizione e culminando con la lingua parlata dagli attori, con la differenza che continua a fare paura. Eggers con The VVitch e The Lighthouse recupera un terrore che non necessita di violenza per manifestare il proprio potere, perché predilige seguire strade del mito, del folklore e della paranoia. Eggers recupera e infonde paure ataviche, fatte di simboli, di elucubrazioni e di minacce, di sospetti che lo spettatore stesso iniziare a maturare, mentre il tempo passa e i minuti scorrono.

Ma come può il regista estrapolare queste emozioni se la premessa è semplice, se la base da cui prende forma la storia è come quella di The Lighthouse?
Il dono della narrazione è un bene che suscita invidia, ma che al contempo non si vuole gestire, perché non tutte le storie funzionano nella bocca dello stesso narratore e non si può avere sempre la sicurezza che uno stile valga la pena di essere esercitato. Eggers parte da un assunto semplice per The Lighthouse, ma è nella sua evoluzione che le cose cambiano e l’opera assume dei connotati nuovi. Spesso i critici rimproverano agli artisti che ripongono tutto sullo stile la linearità delle loro trame. È stato il caso di Calvino, Tarantino e dell’Eggers del tempo di The VVitch. Stavolta – forse memore della passata esperienza – il regista del New Hampshire ha scavalcato il problema della scontatezza, adoperando un sistema efficace e che volutamente stordisce. La storia di The Lighthouse è una massa nebulosa e indistinta da cui trapelano informazioni che a tutta prima possono sembrare immediate, ma che col progredire della vicenda rivelano tutta la loro lacunosità, perdono acqua come Thomas Wake (Willem Dafoe), il folle guardiano del faro che insegue voluttà esotiche al punto di mescolarsi con esse, e al contempo tacciono come Ephraim Winslow (Robert Pattinson), il nuovo assistente di Wake, un uomo misterioso e taciturno in fuga da un passato che irrimediabilmente gli è sempre dietro.
Da un semplice soggetto, Eggers ricava una storia dell’orrore sulla natura umana, ma la nasconde a tal punto da non poterla quasi più vedere. Lo spettatore perde la capacità di riconoscere cosa e chi sia reale, precipita nei deliranti recessi della Wake e Winslow e sta a lui decidere a cosa è meglio credere, sempre che continui a fidarsi di se stesso.
Eggers non potrà essere stimato incondizionatamente da tutti, il suo stile non glielo permette. Eppure fino ad oggi ha riscosso un successo impensabile per le sue pellicole anti-commerciali e egli non sembra voler scendere a patti con coloro che non apprezzano il suo stile. Del resto, se Saramago avesse smesso di procrastinare la presenza di un punto, se McCarthy iniziasse a mettere le virgolette ai suoi discorsi ed Eggers non incipriasse più le sue trame di simboli, sarebbero ancora loro?

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