Violenza di genere, Marongiu: “Famiglia, scuola e società lavorino in sinergia”

Sono ancora accesi i riflettori sulla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2021. Ne abbiamo parlato a scuola, gli studenti ne hanno scritto e hanno realizzato un video di straordinario impatto emotivo. Un giorno dopo la Giornata proseguiamo con l’intervista a una donna che da sempre si è battuta contro la violenza di genere, Silvia Marongiu.

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Quale ruolo devono avere la famiglia, la scuola, la società nel percorso educativo che deve tendere al rispetto della donna? 
Naturalmente un ruolo di primaria importanza, ognuno per il compito assegnato dal processo evolutivo di una persona, in particolare in quella più delicata della sua vita, caratterizzata dall’infanzia e dall’adolescenza. In premessa è necessario ricordare che la dimensione sessista della società ha radici antichissime, ed il meccanismo che genera la violenza maschile contro le donne si attiva sin dai primi anni di età, attraverso l’insinuazione ed il progressivo radicamento degli stereotipi di genere nel nostro inconscio. Tanti passi avanti si sono fatti nel prendere coscienza di questo, ma tanti se ne devono ancora fare, visto che la violenza maschile sulle donne (che va da quella fisica a quella economica e psicologica) è un fenomeno ancora all’ordine del giorno, così come i pregiudizi e gli stereotipi di genere. È dunque necessario che famiglia, scuola e società lavorino in sinergia per una ridefinizione dei ruoli, nell’affermazione di una parità e di uguaglianza tra uomo e donna. 

Quali riforme legislative sono necessarie per tutelare adeguatamente la donna? 
Più che di riforme in particolare ritengo sia necessario portare avanti una politica nel suo complesso improntata a centrare l’obiettivo della parità di genere in tutte le sue forme e attività. “Come sottolineato dalla Commissione europea nella comunicazione relativa alla strategia per la parità di genere 2020-2025, finora nessuno Stato membro ha realizzato la parità tra uomini e donne: i progressi sono lenti e i divari di genere persistono nel mondo del lavoro e a livello di retribuzioni, assistenza e pensioni; nelle posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale.” 
A livello globale, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere rappresenta uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che gli Stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030. In Italia, l’azione legislativa negli ultimi anni si è focalizzata, da un lato, sul mondo del lavoro, dall’altro, alla disciplina delle cariche elettive, incidendo sui sistemi elettorali presenti nei diversi livelli (nazionale, regionale, locale e al Parlamento europeo), nonché sulla promozione della partecipazione delle donne negli organi delle società quotate.

In questa direzione vanno, in particolare, le disposizioni volte a favorire la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro (anche attraverso un bonus per servizi di babysitting) e il supporto alla genitorialità, nonché le disposizioni per il contrasto delle cd. dimissioni in bianco. Sono stati inoltre rafforzati gli strumenti di sostegno finalizzati alla creazione e allo sviluppo di imprese a prevalente o totale partecipazione femminile.

Un altro filone di interventi ha riguardato l’attuazione dell’art. 51 della Costituzione, sulla parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive, incidendo sui sistemi elettorali presenti nei diversi livelli (nazionale, regionale, locale e al Parlamento europeo), nonché sulla promozione della partecipazione delle donne negli organi delle società quotate.

Una crescente attenzione è stata inoltre dedicata alle misure volte a contrastare la violenza contro le donne, perseguendo tre obiettivi: prevenire i reati, punire i colpevoli e proteggere le vittime. La centralità delle questioni relative al superamento delle disparità di genere viene ribadita anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia.
Inoltre, vorrei evidenziare che la Regione Lazio ha approvato la legge sulla parità retributiva tra uomo e donna – a prima firma della presidente della IX Commissione Eleonora Mattia (stanziando 7,66 milioni di euro) – che prevede, oltre alla messa in campo di strumenti per eliminare il gender pay gap, anche quelli per favorire l’inserimento e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro. “Politiche attive del lavoro e formazione per le nuove competenze, educazione finanziaria e materie STEM, e incentivi alle imprese che assumono donne a tempo indeterminato, impegno contro le molestie nei luoghi di lavoro come previsto dalla convenzione ILO. Ancora, sostengo all’imprenditoria femminile e alle donne in condizioni di disagio con il microcredito, ma anche strumenti di conciliazione dei tempi di vita, per la diffusione di una cultura paritaria nelle imprese e per la rappresentanza equa dei generi nelle posizioni apicali”.

Il Lazio, come tutte le altre regioni italiane, è colpito dal problema dell’occupazione femminile: una donna su due (il 52,1%) non lavora, mentre nell’ultimo anno su 44 mila posti persi 33 mila sono di donne. Non solo: guadagnano anche molto di meno dei loro colleghi uomini. Se gli stipendi sono più o meno uguali nei rapporti di lavoro subordinati, dove esistono contratti che prescindono dal genere, la situazione è diversa nelle libere professioni. Ad esempio, un avvocato uomo nel Lazio guadagna circa 65 mila euro all’anno contro i 27 mila delle colleghe donne. Stessa cosa per i medici: gli uomini dichiarano un reddito che si aggira sui 52 mila euro annui, mentre le donne si fermano a 35mila.

Di interventi legislativi ne sono stati fatti e molti se ne possono ancora fare, anche per garantire un’adeguata protezione alla donna vittima di violenza e ai suoi figli, se ve ne sono.  Tuttavia la donna, soprattutto in questo (quasi) post-pandemia, ha subìto nuovamente una regressione in termini di indipendenza economica, essendo stata una categoria su cui sono maggiormente ricaduti gli effetti negativi della crisi economica, pertanto il lavoro, l’indipendenza economica, il potenziamento della rete di asili nido sono senz’altro temi su cui si può fare ancora di più, essendo poi questi i fattori realmente determinanti che favoriscono indipendenza e autodeterminazione della donna. 

Alla luce di quanto accaduto nella trasmissione “Forum” condotta da Barbara Palombelli, e viste le dichiarazioni dell’ultima, com’è possibile pensare e dichiarare attraverso uno strumento potente come la televisione che se una donna è vittima di violenze è colpa dei suoi comportamenti “esasperanti” nei confronti del compagno/marito?
Quell’infelice episodio è l’ennesima dimostrazione di quanto, nonostante si parli molto di violenza contro le donne, spesso e volentieri non si conosce davvero il tema. L’espressione utilizzata dalla Palombelli è una chiara manifestazione di uno stereotipo sessista, di cui la nostra società è intrisa e che donne e uomini hanno introiettato di generazione in generazione. La rimozione di pregiudizi e di stereotipi è un lavoro lungo e faticoso, che richiede anche una certa dose di apertura ed autocritica. Pertanto c’è ancora tanto lavoro da fare. Senz’altro la televisione, così come la pubblicità e i film hanno una grande responsabilità nella costruzione del nostro immaginario, e dunque una comunicazione responsabile avrebbe un grandissimo effetto e sarebbe molto più efficace di tanti convegni e leggi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un inizio di cambiamento, soprattutto da parte delle aziende pubblicitarie, ma la strada è ancora lunga.  

La parità di genere è un percorso generale e complesso e la lotta alla violenza contro la donna passa anche attraverso l’adeguamento delle opportunità nell’istruzione, del mondo del lavoro, della considerazione sociale. Qual è la sua opinione in merito? Quale messaggio alle donne?
La parità di genere incide profondamente sullo sviluppo delle società. A parità di valore tra i due sessi si preferisce quasi sempre il maschio. Per tradizione, per abitudine, per fiducia? La parità deve essere reale o il nostro Paese resta indietro. Deve essere la precondizione affinché le cose avvengano. Il fenomeno della violenza maschile sulle donne investe tutti i settori della società. Ciascun componente è chiamato ad un ruolo di responsabilità in tal senso, si tratta solo di voler raccogliere questa responsabilità ed agire in funzione della realizzazione di quest’obiettivo. Non dimentichiamoci che il percorso di autodeterminazione passa anche attraverso la dimensione domestica, ossia attraverso la ridefinizione del proprio ruolo all’interno della famiglia. Sappiamo infatti che ancora oggi la maggior parte del lavoro di cura è implicitamente demandato alle donne, così come il carico mentale che comporta la gestione di una famiglia, che spesso si dà per scontato. Per le donne, il percorso di liberazione e autodeterminazione purtroppo passa anche da lì, e non è certo facile, considerando che si rischia di andare in conflitto con persone a cui si vuol bene.

Oltretutto i dati Istat parlano da soli: 112 donne uccise nel 2020. Tra gennaio e Novembre 2021, sono state 109 le vittime di femminicidio, in media uno ogni 3 giorni. 7 milioni di donne, tra i 16 e i 70 anni, ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.

“Ogni giorno è 25 Novembre. Ogni giorno va usato per sensibilizzare, supportare, agire contro i femminicidi.”

Conviviamo con una profonda ferita, una vera e propria guerriglia contro la libertà e l’autonomia delle donne. Oltre ad applicare in ogni aspetto la Convenzione di Instanbul è necessario coinvolgere l’intera comunità: fare rete è fondamentale per creare nuove consapevolezze ed agire in diversi campi e settori della società. E’ necessario uno scatto ed una rivoluzione culturale; bisogna rafforzare le politiche integrate ed incrementare i finanziamenti e la rete dei centri antiviolenza. Il mio messaggio finale però va agli uomini, poiché il fenomeno della violenza maschile sulle donne non può essere analizzato solo dalla prospettiva della donna, ma dovrebbe (forse soprattutto) essere analizzato dalla prospettiva degli uomini. È necessario agire sulla parte maschile della società per poter liberare le donne, affinché, una volta per tutte, la libertà e l’autonomia che giustamente viene rivendicata dalle donne, non venga mai messa in discussione da un uomo.

Un ritratto di Silvia Marongiu: lavora come senior account in un’agenzia di comunicazione. È laureata in Filosofia e Storia e ha conseguito un master in Relazioni Pubbliche Europee. È impegnata in politica: è segretaria del circolo PD Ladispoli e membro della segreteria provinciale. È stata Consigliere comunale e Delegata all’Integrazione, Cooperazione, Europa al Comune di Ladispoli. Ha fondato l’Associazione Donne in Movimento e aderisce da volontaria al Presidio di Libera contro le mafie. Fa parte del Comitato Aderenti Fondazione Nilde Iotti ed è Presidente del Consiglio di Istituto del’I.C. Ladispoli 1.

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