Annalisa Camilli racconta “Un giorno senza fine”

“La guerra è guerra. Non è una giustificazione plausibile alle violenze gratuite”. Lo afferma Annalisa Camilli, nella sua emozionante presentazione del libro Un giorno senza fine, che si è svolta a Ladispoli nella libreria “Scritti e Manoscritti”, in cui racconta la sua esperienza da giornalista inviata in Ucraina.

Il 24 febbraio 2022 il presidente della Russia Vladimir Putin annuncia, in diretta TV, che avrebbe effettuato un’operazione militare speciale nella regione del Donbass, dichiarando così guerra all’Ucraina.

“Le motivazioni sono certamente da scovare nello scenario storico di questi paesi – aggiunge Annalisa Camilli -. La domanda che dobbiamo farci per capire meglio è: perché l’Ucraina è così importante? La risposta è basata sul ruolo simbolico che la città di Kiev ricopriva nella cultura Slava medioevale, in quanto rappresentava l’entità che raccoglieva tutti i popoli slavi”. Ma perché ha sentito l’esigenza di scrivere un libro su questa situazione molto delicata, nonostante il grande numero di notizie che ci arriva ogni giorno?

“Una delle prime cose che succedono quando si è immersi in una grossa crisi, è che si fa fatica a trovare le parole, in quanto tutte le parole sembrano banali e incapaci di rappresentare cosa significhi vedere la propria vita stravolta in poco tempo. Mi sembrava che mancasse la costruzione di un contesto, di cosa sia effettivamente successo fin dall’inizio. Pensavo quindi che fosse importante colmare tutti quei buchi causati dalla mancanza di informazioni, scrivendo questo libro”.

Annalisa Camilli (a destra) a “Scritti e Manoscritti”, mentre dialoga con la libraia Silvia Bandini

La scrittrice, grazie a una attenta analisi degli avvenimenti, ci parla anche di una società stravolta dall’imprevedibilità della guerra: “La cosa che mi ha colpita di più è stata la sorpresa degli Ucraini riguardo allo scontro. All’inizio tutti pensavano che la guerra non sarebbe avvenuta; nessuno voleva credere alla cruda realtà a cui si stava andando incontro. Quando lo scontro ha avuto inizio erano tutti increduli e, una volta accettata la situazione, si pensava a un conflitto molto rapido, di qualche giorno, anche Putin parlava di una ‘guerra lampo’. Purtroppo non è stato così. Una donna a Leopoli mi disse proprio ciò, ovvero che anche dopo un mese dall’inizio della guerra, sembrava passato un unico giorno senza fine.” (Da qui il titolo del libro).

La narrazione, molto cupa, è frutto dell’unione di tanti punti di vista differenti ma che convergono su un unico pensiero: la ricerca di pace. Era interessante capire la posizione dell’autore che, come un narratore onnisciente, ha lasciato spazio alle storie degli altri facendo da portavoce. Oltre alle esperienze degli altri, durante la presentazione ha deciso di raccontarci anche la sua.

“Diciamo che ovviamente io lo faccio per professione, è normale per me seguire crisi e conflitti quindi devo esercitare in qualche modo una distanza: è anche questa una forma di protezione. Provo sempre a non mettermi in prima persona, a non ascoltare tanto quello che penso io o le mie emozioni, ma invece a dare voce e parola alle persone protagoniste delle storie. Una cosa che mi ha colpito moltissimo è che molte delle cose che vedevo mi hanno ricordato i racconti dei nonni: questa è una guerra che si combatte in trincea, una guerra vecchia e nuova; si combatte principalmente con i colpi di artiglieria, una situazione in cui gli eserciti si contrappongono passo passo, gli ucraini che sotterravano i loro averi più preziosi, il sentimento di comunità e condivisione riguardante i pochi beni a disposizione.”

Il libro, Un giorno senza fine.

Camilli ci parla anche della posizione dell’Italia rispetto al momento caldo che sta vivendo l’Ucraina.

“Da parte dell’Italia c’è un atteggiamento di distacco, è come se il dibattito italiano fosse concentrato solo su se stesso (sull’economia, sul gas eccetera) e non veramente disposto a capire. È questo uno dei motivi per cui ho deciso di scrivere il libro: per far capire cosa significhi essere lì nei panni della vittima. Questo comportamento non viene adottato solo dall’Italia, ma dall’Europa in generale: all’inizio, vedevamo gli europei arrivare con cibo, giocattoli, coperte e qualsiasi altro tipo di bene materiale utile per aiutare le persone in difficoltà. Successivamente, dopo un mese, l’attenzione e la solidarietà si sono spente. Una cosa simile è successa con la pandemia: siamo passati da uno stato in cui avevamo preso consapevolezza della situazione molto seria, a uno di rassegnazione. Credo che alla base di ciò ci sia un meccanismo di difesa involontario: gli umani si difendono negando. Allo stesso tempo però, questo circolo vizioso – per quanto riguarda la guerra – era alimentato dalla moltitudine di racconti, informazioni e immagini non sempre veritiere. La manipolazione delle immagini non è una cosa nuova, ed è stata pensata per rendere fragile l’opinione pubblica, che posta davanti a queste immagini, inizia a interrogarsi su cosa sia reale e cosa non lo sia.”

Dedica di Annalisa Camilli per Res Novae

A questo punto della presentazione, abbiamo posto delle domande all’autrice, per andare più in fondo alla questione.

Come stanno affrontando gli adolescenti tutta questa situazione?

“Soprattutto durante i primi giorni della guerra, ho intervistato tantissimi ragazzi e ragazze, che scappavano insieme alle loro madri (a causa della legge marziale i padri e gli uomini, quelli che non sono riusciti a scappare prima, sono dovuti restare a combattere per la patria). Una cosa che mi ha colpito molto dei ragazzi è che si portavano dietro alcuni libri scolastici e i loro animali domestici. Il cellulare è stato molto importante come mezzo di comunicazione: erano tutti preoccupati di rimanere in connessione tra di loro. La scuola ha ripreso dopo tre settimane dallo scoppio della guerra, ovviamente in didattica a distanza. Era impressionante vedere i ragazzi, che si erano messi in salvo nei rifugi antiaerei, seguire le lezioni online. Mi ha colpito la storia di una maestra di Mariupol rifugiatasi in un hotel abbandonato, che nel suo cellulare aveva le foto dei suoi alunni. Una delle cose che mi dispiace di più è non sapere dove siano i miei ragazzi. Molti sono scappati e non si sa se torneranno”, diceva.

Per concludere, le poniamo un ultimo quesito: quale di tutte le storie di cui ci ha narrato nel suo libro l’ha colpita di più.
“L’esperienza che mi ha colpito di più è quando sono andata a Buča: c’erano questi volontari che cercavano i corpi delle persone scomparse. Questo secondo me da proprio la dimensione dell’orrore di una guerra: persone comuni che cercano di identificare i corpi, di ridargli un nome per poi riconsegnarli alle famiglie. Un lavoro pesante, molto provante dal punto di vista psicologico ma una scelta importante, che mette in risalto l’umanità delle persone. Addirittura la possibilità di dare una degna sepoltura a una persona è saltata per colpa del conflitto. È una cosa macabra, ma che mi commuove tutte le volte”.


6 commenti su “Annalisa Camilli racconta “Un giorno senza fine””

  1. Helga ha scritto:

    Riflettere sulle atrocità che l’uomo è capace di compiere è un ottimo ed indispensabile esercizio per acquisire sempre più un pensiero critico e divulgare messaggi di pace, tolleranza e accoglienza. La vostra sensibilità a temi cosi forti dimostra quanta beltà può esserci nei giovani se veramente coinvolti nei processi di cambiamento. Ad maiora semper!

  2. Melissa ha scritto:

    Un’intervista che ha messo ottimamente in risalto le peculiarità di un libro dalle tante sfumature, tutte purtroppo talmente intrise di oggettiva realtà da far vivere al lettore il disagio di un tale e immane disastro quale la guerra. La speranza è che dalla lettura possa nascere una riflessione profonda di quanto l’essere umano possa essere tanto creativo e, ahimé, distruttore così da prenderne esempio nel primo caso e distanze nel secondo.

  3. Ivana De Paolis ha scritto:

    Una fotografia puntuale e sincera, che non lascia spazio, secondo me, a fraintendimenti. Queste giovani donne hanno espresso in maniera semplice un conflitto così complicato. Non da meno la soggettività del testo che comunque non pregiudica il pensiero di ognuno. Orientarsi in questo momento di guerra non è così facile, ma le informazioni che leggo sono vere e toccanti e purtroppo non nuove . La sensibilità di non ignorare la guerra non è scontata affatto. Complimenti e buon lavoro

  4. Bucci Patrizia ha scritto:

    L’intervista all’autrice mette a nudo la triste realta’ della guerra e ci aiuta a comprendere il disagio non solo fisico dei giovani che scappano dalla guerra, che hanno perso tutto, ma non la speranza di vivere.

  5. Tiziana alfarano ha scritto:

    Ragazze lodevole il vostro impegno su un tema duro e inspiegabile com’è la guerra..complimenti….così giovani e già così mature

  6. Vania ha scritto:

    Bella iniziativa, è importante che i giovani siano coinvolti, bravi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.