Intervista a Edith Bruck. Come viene percepita la Shoah dai ragazzi?

Il 24 gennaio, in attesa della Giornata della Memoria, nelle aule del liceo “Sandro Pertini” di Ladispoli, studenti e insegnanti hanno assistito alla proiezione della videointervista a Edith Bruck, scrittrice ungherese, naturalizzata italiana, e testimone della Shoah.

Grazie alla Fondazione Museo della Shoah che, con a capo il direttore Mario Venezia, si impegna da anni nell’attiva promozione della realizzazione del Museo nazionale della Shoah di Roma, è stato possibile approfondire il tema dell’antisemitismo nazi-fascista durante gli anni della Seconda guerra mondiale, e, attraverso la preziosa testimonianza di Edith Bruck, cogliere gli aspetti meno noti e più intimi della sua disumana esperienza.


Poiché non esiste storia senza memoria, tale evento si è svolto con lo scopo di sensibilizzare i giovani circa i terribili avvenimenti che coinvolsero non solo la comunità ebraica, ma moltissime altre dimensioni sociali – come quella degli omosessuali, degli zingari e di molti altri emarginati – e che segnarono duramente la realtà del tempo e l’intera società civile europea.

Dopo una esaustiva digressione storica e geopolitica sull’Ungheria degli anni ’40 – proposta dalla professoressa di Storia e Filosofia Simona Nicolosi del Liceo “Margherita di Savoia” di Roma – è cominciata l’intervista in diretta a Edith Bruck, la cui vita di sopravvissuta e testimone non fa parte solamente di una sfera privata, ma rappresenta una componente essenziale della Storia con la “S” maiuscola.

Il suo racconto emozionante ha riportato alla luce una pagina indimenticabile della nostra Storia: quella in
cui trovano spazio la propaganda fascista e nazista, le leggi raziali e la Shoah. Desiderosa di mantenere viva la memoria di questi eventi, Edith ha ripercorso i momenti più tragici della sua terribile esperienza: la permanenza nel ghetto e la deportazione nei campi di concentramento, spietate macchine di distruzione di massa, strutturate orribilmente in ogni minimo dettaglio. Quindi la scrittrice ha ricordato i molteplici trasferimenti, da Auschwitz, fino a Bergen-Belsen, dove è stata liberata insieme alla sorella.


Nella sua intervista, Edith ha descritto gli episodi e le scene più agghiaccianti, come i suicidi sul filo spinato, gli omicidi dei prigionieri malati o ritenuti inefficienti, le logoranti “marce della morte”, e i corpi malnutriti dei deportati. Tuttavia, ha raccontato anche delle sue “cinque luci”, grazie alle quali lei, nonostante le atrocità, non ha mai abbandonato la speranza. Le sue parole vere e coinvolgenti hanno emozionato e catturato noi ragazzi, per cui la sua testimonianza è stata una preziosa occasione, non soltanto per ricordare il dramma dell’Olocausto, ma anche per discutere e confrontarci.

Alla domanda “quanti di voi conoscevano Edith Bruck?” Solo 1/8 degli alunni ha risposto affermativamente. Successivamente, è stato chiesto ai ragazzi se secondo loro l’antisemitismo fosse una realtà presente ancora oggi. Tutti hanno espresso il loro parere, sostenendo che sì, l’antisemitismo purtroppo si configura tutt’ora come un grave problema, che riguarda l’intera società. A sostegno di ciò, inoltre, è stato osservato con stupore che il 33% degli ebrei ancora ha timore di manifestare la propria religione. A questo proposito, è stato fatto l’esempio degli atti vandalici compiuti il 27 gennaio del 2020 nei confronti della senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio di Auschwitz.

La domanda seguente è stata: “secondo voi, è importante il Giorno della Memoria?” Tutti hanno concordato sul fatto che sia importante per ricordare l’evento della Shoah di cui, come ha dichiarato il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara al termine dell’intervista, molti ignorano l’esistenza (in Italia, ad esempio, ben il 30% delle persone).

Diverse riflessioni sono state portate avanti dagli studenti a seguito della visione della videointervista: dal
principio, si è messo in rilievo l’episodio in cui Edith afferma “ero terrorizzata dalla dolcezza di mia madre”, ricordando il momento in cui, strappati lei e la sua famiglia alla loro casa, fece esperienza di quella sensibilità materna che la madre non le aveva mai dimostrato, e sottolineando come, in situazioni di difficoltà e terrore, possono emergere reazioni inaspettate, che, pur essendo apparentemente positive,
nascondono forte inquietudine.
Inoltre, ci ha colpito come, nel campo di concentramento, i deportati venissero privati di ogni forma di identità, a partire dalla sostituzione del nome con un numero. Anche la descrizione di Edith circa le pessime condizioni dei prigionieri, che mangiavano persino l’erba, a causa della scarsezza di cibo, ci ha scosso particolarmente.

Emozionante è stato poi il racconto della prima delle sue “cinque luci”, quando un soldato tedesco le
suggerì all’orecchio la direzione in cui andare durante lo smistamento: la destra, dove l’avrebbero aspettata i lavori forzati e non le camere a gas.

Molto significativa è stata, inoltre, la conclusione della testimonianza di Edith Bruck, in cui la donna ricorda il momento della liberazione da parte degli americani. Suscitando la perplessità degli studenti, la scrittrice ha dichiarato che, inizialmente, lei e gli altri sopravvissuti non provarono immediata felicità, dato lo stato di completo annichilimento, confusione e sofferenza, ma rimasero increduli e disorientati.
Di fronte agli americani, quando lei e gli altri dovettero spogliarsi per indossare nuovi vestiti, Edith sostiene che per la prima volta provò vergogna, al contrario di come avveniva nei campi di concentramento, in quanto i soldati tedeschi, che rendevano questa prassi ancora più abominevole con i loro sputi verso le parti intime, non erano più percepiti come umani.

Infine, l’episodio che più ha toccato noi studenti, è stato quello in cui Edith e la sorella, sopravvissute al
terribile dramma della Shoah, condivisero il cibo con dei soldati nazisti bisognosi di aiuto. Ciò sottolinea come l’educazione ricevuta svolga un ruolo fondamentale, nel momento in cui Edith sceglie di non scendere alla crudeltà di cui era stata vittima, ma di agire nella consapevolezza che il male non si
abbatte con altro male.

Concludendo, tale esperienza è stata per noi ragazzi significativa e formativa, ricordandoci l’importanza
della memoria storica, di un passato che non è lontano come sembra e che bisogna conoscere perché non si ripetano gli stessi errori nel futuro e perché, come dice la stessa Edith, “La memoria è vita per me. La memoria dovrebbe essere vita per tutti. Non possiamo cancellare il passato perché il passato è il nostro presente e il nostro presente sarà il nostro futuro”.

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