Freddie Mercury: 30 fa moriva la regina della musica

30 anni fa, il 24 novembre del 1991, moriva nella propria dimora uno dei più grandi artisti musicali della storia, vittima dell’AIDS: Freddie Mercury, frontman dei Queen. Di seguito, un componimento poetico per celebrare la migliore “prostituta della musica”. Freddie Mercury.

EO, EEO, EEEO, EEEEO, EO, EEO, EEEEEO, EEEEEEEO.
Sono stato lì, e lì. Li portavo lassù, in condizioni sovraumane. Facevo assaggiare loro ogni gusto possibile. Li avevo in pugno, e loro me: erano il mio palcoscenico e io il riflettore che lo illuminava. Ero indomabile; ogni loro sentimento mi componeva, mi creavano e io li ricompensavo. Era la sensazione più bella sapere che io dettavo i tempi, ero il massimo oratore; dipendevano da me, da me solo. Me! Freddie maledetto Mercury. Li incitavo, li galvanizzano, aprivo il loro cuore e scrutandolo ne estraevo tutti i sentimenti di cui mi servivo. Glieli restituivo più sensibili, infervorati e depressi: rock. Conferivo loro in stato di libertà le mie emozioni umane, che li avrebbero contaminati per sempre, di ogni mio piccolo moto. Ero solo un tramite della loro anima, la rapivo per dipingerla d’ogni colore. Questa è la musica, e così è la vita. Siamo schiavi delle emozioni, alle dipendenze della loro indipendenza. Non possiamo giocarci, ma reinterpretare le altre con le nostre. Quel che conta, alla fine, è trasmetterle con impeto e dolcezza, profondità: rock. Niente è più nobile e potente delle emozioni, con cui lassù volavo coinvolto, mi disperavo e mi esaltavo; fremevo perché il mio cuore trasumanava nel vuoto dell’infinito e una forza trascendentale mi attraversava.

Io non sono una star, ma sono proiettato nell’eternità come una leggenda. Perché? Perché non avuto paura di svelarmi, perché instauravo, insieme alla mia famiglia, pathos con i miei sudditi e capi – là sotto.

Per sapere realmente cantare, non serve avere una buona voce, serve solo avere la propria voce, non camuffata, ma libera, e sprigionarla. Per saper cantare – che è un privilegio per la nostra razza umana, ma solo per alcuni -, bisogna essere spavaldi, sfacciati, cavalcare la canzone, fondersi dentro, immedesimarsi e sentirla, come fossi personaggio. Sentirla, amalgamarsi e sentirla di nuovo, per essere infermabili. Si tratta di portare a galla un pezzo dell’anima.

Ho avuto paura quando l’ho preso, l’Aids. Non perché volessi vivere per sempre – ogni cosa ha una sua fine – ma perché volevo essere racchiuso in quei momenti per l’eterno, per rinascere ogni volta senza mai morire. Mi serviva come redenzione dal peccato, e l’unico modo era risorgere da me. Sì, mama, ho ucciso un uomo. Morto. Era giovane, aveva appena iniziato a vivere, ma una falsa vita. Allora doveva morire, era giunto il suo tempo finale. Non sarebbe più tornato da te, scusami, non piangere. Vi salutava, ma doveva andarsene da qui, lasciare tutto. Non voleva essere mai nato, ma è nato, e quindi doveva morire, oppure il tempo l’avrebbe lacerato senza che il sole lo ammirasse al tramonto. Mi ha implorato la morte, la più dolce. È andato, ma sii felice per lui, perché è rinato. Resterà sempre tale. E non importa il resto, perché finalmente è un uomo libero. Non lo fermate, tanto lui non si volterà più indietro. Volerà vicino al sole e non si brucerà per questo. Ha scelto di essere. Il non essere non lo ricopriva adeguatamente. E la condizione di essere è in precarietà per l’umanità. Comunque, ha lasciato la propria anima qui, sulla Terra, ancora viva.  

Io sono leggenda per tutti. Ma lo sono ancor di più per me stesso, perché mi sono espresso senza paura. Anzi, il coraggio ha esaltato la mia paura più importante. Non l’ha cacciata, l’ha portata sulle spalle in trionfo. Mi sono buttato in pista per esprimermi senza pensare di essere banale, perché te stesso non può mai essere tale. Ho sempre pensato di essere speciale, perché io ho sempre deciso chi io fossi. E sono stato quello per cui sono nato: un performer, che dà alla gente quello che vuole. Toccare il paradiso. Sono il campione. Sono Freddie Mercury perché io ho deciso che fossi leggenda, prima che per gli altri, per me. Ed è stata la stesura di testo più importante della mia vita. La vita, il mio vero palcoscenico.

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