La scuola secondo noi

Sono le 7:00 in punto di lunedì mattina: ecco che comincia l’”inferno”. È così che, sempre più spesso, viene considerata la scuola, in forte contrapposizione con il concetto da cui il termine “scuola” stesso deriva. Il termine σχολή, scholè, infatti, nel mondo greco antico indicava il “tempo libero”, ovvero quel tempo che si dedicava alla formazione, all’arricchimento di sé stessi e al piacere dello studio, lontani da ogni scopo pratico immediato.
Cosa si è perso? Cos’è la scuola per noi? Perché spesso la scuola è considerata una prigione?
A tal proposito, abbiamo intervistato chi la scuola la vive quotidianamente: tra considerazioni di docenti e studenti, intraprendiamo il viaggio che ci porterà a tentare di rispondere ai nostri interrogativi.
Le prime domande le abbiamo rivolte ai professori Tina Coppola, Francesca D’Amico e Francesco Strinasacchi, che ci hanno risposto così.

• Torniamo al concetto di σχολή, scholè: cosa è rimasto e cosa sarebbe auspicabile riprendere. A tal proposito, la professoressa Francesca D’Amico ci ha detto la sua.

Dipende molto dal singolo e dal metodo educativo del singolo docente. Per me è fondamentale che ci sia serenità innanzitutto, perché la formazione non può essere solo nozionistica. Un aspetto da tenere a mente del concetto di σχολη è senza dubbio quello della consapevolezza del fatto che il tempo passato a scuola è tempo per noi stessi, per la nostra formazione e per questo dovrebbe essere associato al piacere. Penso, inoltre, che la motivazione sia molto importante nella scuola e che questa sia necessaria per far nascere nello studente la passione per lo studio. A mio parere, il piacere, la serenità e la motivazione devono accompagnare sempre l’apprendimento.

• C’è qualcosa del sistema scolastico che cambierebbe? Ci ha risposto il professor Francesco Strinasacchi

Basterebbe secondo me avere classi meno numerose e spazi più ampi e diversificati. Di conseguenza si avrebbe veramente una didattica più attenta ai bisogni e ai talenti dei singoli e ciascuno verrebbe valorizzato al meglio. Altra cosa avere la possibilità di “rischiare” esperienze educative e quindi meno burocrazia e più libertà di movimento per i docenti senza dover sempre temere ripercussioni.

• Si sente sempre più spesso parlare di “scuola” come una prigione: quali sono i suoi pensieri in merito e quanto questo influenza il modo in cui percepisce il rapporto con gli studenti? L’opinione della professoressa Tina Coppola.

Prima di tutto, mi fa male. Sento la scuola come il luogo in cui si libera il pensiero e si nutre l’anima, la sede elettiva dello scambio critico; e, quindi, se entro in aula e percepisco nei ragazzi noia e desiderio di fuga, istintivamente un po’ mi irrigidisco: venti paia d’occhi stanno lì a ricordarti la realtà ineluttabile che il serio lavoro spesso non cambia le cose. Solo in un secondo momento ricordo che proprio questa è la sfida della mia professione: rendere l’impegno una scelta e non una costrizione – è più stancante di quanto si possa immaginare.

• La scuola viene tristemente percepita, in molti casi, come un periodo della vita da superare più in fretta possibile: un periodo buio e di fatica, che serve unicamente per ottenere dei risultati soddisfacenti nel proprio futuro. Tale visione è in forte contrapposizione con i valori alla base della scuola che spesso passano in secondo piano, in nome di un’esagerata attenzione alla quantità di contenuti da affrontare, che distoglie l’attenzione dalla reale comprensione e porta verso una sterile memorizzazione nozionistica. La professoressa Francesca D’Amico ci ha espresso la sua idea in merito.

Sono contraria a una visione solamente nozionistica. Bisogna frequentare con il piacere di venire a scuola, e non è importante una nozione in più o in meno. Nella mia esperienza di insegnante, ho capito che bisogna guardare alla maturità dell’individuo come obiettivo finale. La nozione, dunque, deve servire nell’ottica di uno sguardo complessivo che possa dimostrare la capacità dell’alunno di comprendere, di fare collegamenti e di apprezzare il contenuto culturale. Il contenuto culturale, poi, è utile per dialogare e approfondire dei concetti, in vista del gradino in più che si può fare verso la conoscenza, verso la realtà e verso noi stessi. Questo deve essere, inoltre, occasione per fare un tratto di strada insieme tra docente e studente, al fine di arrivare sempre più vicini alla comprensione della realtà.

• Sempre più spesso negli ultimi tempi le cronache hanno parlato di aggressioni da parte di studenti ai docenti. È evidente che, in tali circostanze, sia venuta meno una componente fondamentale del rapporto tra studente e docente: la fiducia. A suo parere, quale può essere, senza entrare nel merito delle questioni specifiche, la causa di tale rottura nel sopracitato rapporto e come questo può essere, invece, preservato da parte di entrambi? Abbiamo posto la domanda a tutti i professori intervistati.

COPPOLA: Mancanza di comunicazione e onestà, forse; certamente disagio e senso di inadeguatezza. Il gioco di ruolo della scuola può essere massacrante: a volte l’educatore procede per tentativi, a volte lo studente si sente invisibile. Non so…

D’AMICO: Ogni episodio di violenza è legato a una storia personale pregressa, fatta di momenti vissuti dai singoli in modo non sereno. Se viene a mancare la serenità di base e se l’individuo si sente tradito o deluso reagisce in maniera non adeguata. Il latente che emerge nell’atto aggressivo può essere o reale o esasperato dal singolo ed è un’esplosione, che nasce da qualcosa di nascosto. Le cause di tale comportamento possono essere sia reali che percepite: la reazione aggressiva può essere, dunque, frutto di tanti altri fattori. Non è detto che il docente, in tali circostanze, sia il nemico, ma solo il soggetto nel quale si canalizza la rabbia dell’alunno. Penso, quindi, che non sia solo una mancanza di fiducia a generare a una tale esplosione contro una figura così importante come quella del dell’insegnante. Il docente, talora, può essere percepito come emblema del divieto e delle regole, contro le quali spesso l’adolescente è in contrasto. In tali circostanze, dunque, l’alunno si sente minacciato, e l’insegnante diventa il simbolo dell’autorità e del mondo degli adulti, e per questo combattuto. In conclusione, ritengo la reazione violenta come frutto di tante cose, e non esclusivamente contro la singola persona del docente.

STRINASACCHI: Si sono coinvolti i genitori creando un patto educativo che si è rivelato fallace in quanto i genitori lo vedono come autorizzazione a intervenire su tutto e su tutti. I genitori dovrebbero fidarsi dei docenti ai quali affidano i loro figli e fare un passo indietro. Se manca questa fiducia il rapporto non può proseguire.

• Se dovesse riassumere in una parola ciò che spera di trasmettere agli studenti, quale sarebbe questa?

COPPOLA: Autonomia e indipendenza di giudizio. Sono cinque parole, però.

STRINASACCHI: La parola è SPERANZA. Vedo negli alunni di oggi troppa rassegnazione. Credo che dovremmo come docenti trasmettere loro che il futuro è una promessa, non una fregatura, c’è ancora speranza perché ci sono giovani che si impegnano e danno il meglio di sé per cambiare ciò che non va.

D’AMICO: Innanzitutto studium nel senso latino del termine, ovvero quello di desiderio di apprendere, di aspirare alla conoscenza. Poi aggiungerei, senza dubbio, la curiositas nell’apprendimento. E dunque, Studium cum curiositate, nel tentativo di avvicinarsi al patrimonio di ogni disciplina, per la conoscenza di noi stessi e della realtà.

• E dunque, cos’è per lei la scuola?

D’AMICO: Per me la scuola è il luogo della formazione e del contatto tra docenti e alunni, del confronto, dell’arricchimento. Si tratta ovviamente di un’istituzione, e in quanto tale va rispettata nelle sue regole, ponendo sempre, tuttavia, un’importante attenzione all’aspetto umano. Le regole, dunque, vanno applicate concretamente, convinti di ciò che si è teorizzato.

STRINASACCHI: La scuola è uno degli ultimi luoghi sacri che è rimasto, un luogo di Incontro profondo con la cultura, luogo di crescita personale ed umana, confronto alla pari con il compagno, confronto non alla pari con il docente, confronto con se stessi. Un baluardo della civiltà, della legalità, della cittadinanza.

COPPOLA: La trincea dove cultura alta e spirito critico resistono.

Spostiamoci, ora, dall’altra parte della cattedra e consideriamo le risposte di alcuni studenti alle domande che abbiamo posto loro.

• Com’è il rapporto tra voi alunni e i professori? Ci hanno risposto Valeria Spitaleri e Christian Monaldi.

VALERIA: Fortunatamente nella mia classe il rapporto studenti-professori è ottimo e, nonostante l’inizio in dad, abbiamo recuperato alla grande durante questi anni. Con il tempo alcuni prof sono diventati nostri consiglieri con cui poter parlare durante le ricreazione e tutto ciò senza mai perdere la loro professionalità. E in generale sono sempre stati attenti alle nostre necessità e alla risoluzione dei problemi qualora si riscontrasse qualche intoppo nel nostro percorso.

CHRISTIAN: Per quanto riguarda il rapporto con i professori, noi ci comportiamo sempre in modo confidenziale – professore permettendo -, ma senza mai esagerare: ci sono ovviamente professori più aperti con la classe, che scherzano e si lasciano andare, come anche, ovviamente, professori più chiusi e rigidi, o una via di mezzo. I professori sono sempre, o quasi, aperti al dialogo con gli studenti per risolvere incertezze e problematiche anche private e che non coinvolgono l’intera classe.

• C’è qualcosa del sistema scolastico che cambieresti? Abbiamo posto questa domanda a Giulia Cocchia e Benedetta Gulli

BENEDETTA: Sì, ci sarebbe qualcosa che vorrei cambiare. Nell’ambiente scolastico che ho sperimentato finora, ho potuto riscontrare diverse falle, a partire dalla spesso assente attenzione allo studente – intorno cui, a mio avviso, gira l’intero assetto scolastico -, alla non adeguata organizzazione di alcune attività che permettono lo sviluppo del rapporto umano tra alunni e docenti, fino alla sterile valutazione in voti da 0 a 10 di ogni attività svolta. Tale “ossessione” della scuola è anche una delle maggiori cause di stress per noi giovani, che ci ritroviamo in un periodo di transizione tra l’età infantile e quella adulta, in cui è difficile destreggiarsi tra giudizi assidui e insistenti come quelli dei docenti e allo stesso tempo non incombere nel comune errore di pensare che si vale quanto il numeretto rosso scritto sulla verifica o pronunciato dal prof durante l’interrogazione.

GIULIA: Ci sono delle cose che andrebbero sicuramente cambiate del sistema scolastico, ma il principio del cambiamento sta nel come noi studenti viviamo la scuola.
Vorremmo una scuola diversa, senza ansia e preoccupazione, ma alla base siamo noi studenti dobbiamo cercare di percepire le giornate scolastiche in modo diverso. Da circa un’anno ho capito quanto sia importante non permettere a voti e verifiche di influenzare così tanto la mia salute mentale. È un percorso lungo e difficile, ma se desideriamo il cambiamento dobbiamo capire che deve avvenire prima in noi stessi.

• Quanto il rapporto con la classe, nella tua esperienza, ha condizionato la tua percezione della scuola? Abbiamo posto la domanda a tutti gli studenti intervistati.

GIULIA: Il rapporto con la classe influisce tanto sulla nostra percezione della scuola. Nel mio caso credo che sia fondamentale instaurare alla base un rapporto di fiducia con tutti, poi l’amicizia e l’affetto vengono da sé. La realtà del gruppo classe è difficile da comprendere, per questo motivo bisogna essere capaci di mettere al primo posto noi stessi, per vivere bene in una classe anche nei casi dove non si crea una bella dinamica di gruppo.

BENEDETTA: La classe è un’elemento di notevole rilevanza nel momento in cui si analizza l’istituzione della scuola. Lo affermo con certezza, perché sono consapevole che la grande fiducia che ripongo nella scuola è dovuta a esperienze positive vissute tra le mura delle classi che ho frequentato, esperienze pressoché tutte positive che col corso del tempo ho capito essermi state di grande insegnamento.

VALERIA: Penso che il rapporto che ho con la mia classe abbia molto influito con la percezione che ho della scuola. Mi ritengo molto fortunata perché il rapporto che ho con i miei compagni di classe è fantastico: collaboriamo, andiamo d’accordo e cerchiamo di aiutarci a vicenda. Quindi In generale c’è un bell’ambiente in classe.

CHRISTIAN: Il rapporto con la classe è stato certamente molto importante; creare a amicizie è fondamentale, in primis perché andando a scuola non ti senti solo o comunque in un luogo nel quale non ti senti a tuo agio, poi perché questa amicizia si sposta al di fuori delle mura scolastiche creando un’intesa che è visibile anche durante le lezioni.

• Ritieni che il percorso di studi che stai affrontando sia efficace e produttivo? Oppure lo vivi con pesantezza e noia? L’opinione di Giulia Cocchia e Valeria Spitaleri.

GIULIA: Purtroppo molte cose riguardanti il mio percorso scolastico le vivo con molta pesantezza. Nonostante ciò, credo che ogni cosa che si impara a scuola abbia il suo valore e la sua utilità, perciò non bisogna sottovalutare nulla di tutto quello che viene fatto, sia a livello di studio che di esperienze.

VALERIA: Per quanto riguarda il mio percorso è sicuramente produttivo anche se ci sono certe materie che a causa di miei gusti personali mi rendono l’esperienza scolastica un po’ pesante. Nonostante ciò cerco di mettercela tutta e di impegnarmi anche nelle materie più ostili per me. Per quanto riguarda l’indirizzo sono tutto sommato felice di aver scelto il Linguistico, soprattutto da quando facciamo letteratura in lingua, perché la trovo veramente interessante.

• Secondo te la scuola garantisce agli alunni la possibilità di confrontarsi adeguatamente tra loro e con i professori, oppure ritieni che ci sia poco coinvolgimento in questo senso? L’opinione di Benedetta Gulli.

No, non penso che siano sempre garantite adeguate possibilità per entrare in relazione con gli altri nella scuola. Spesso, nel rapporto docente-studente manca un clima di dialogo e, invece, prevale il timore delle conseguenze nel non fare il proprio dovere rispetto alla volontà di apprendere per, sì, dovere, ma anche piacere. Con gli altri studenti è già più semplice riuscire a stabilire un rapporto anche solo dovuto al fatto che si ricopre lo stesso ruolo nell’assetto scolastico.

• E infine, anche per voi: cos’è per voi la scuola?

BENEDETTA: Per me la scuola è il luogo per eccellenza della formazione dell’individuo che si ritroverà ad affrontare il mondo intorno a lui attraverso gli strumenti da essa forniti.
Ricoprendo la scuola un ruolo di tale importanza, è suo dovere accertarsi che tali strumenti vengano garantiti a qualsiasi studente.

VALERIA: La scuola non è solo un ambiente di cultura finalizzato all’apprendimento ma è anche uno strumento che incrementa la socializzazione. Sin da bambini veniamo messi in contatto con l’ambiente scolastico in cui si sviluppano la maggior parte delle nostre giornate, per cui andarci diventa una questione d’abitudine e, a meno che non ci siano verifiche o interrogazioni di rilievo, direi anche di piacere hahahah.

CHRISTIAN: Per me la scuola è come una comunità che sicuramente mira alla formazione culturale del ragazzo, ma, soprattutto, che permette di creare legami – che probabilmente ti porterai nel futuro – e di fare esperienze: “rimpiangerai i giorni delle superiori”, infatti, ci dicono sempre i più grandi.

GIULIA: Per me la scuola è sicuramente conoscenza e apprendimento, ma principalmente un luogo che può aiutare chiunque ad una conoscenza più approfondita su chi siamo e cosa vorremmo essere in futuro.

Ci spostiamo, adesso, fuori dalle mura della scuola, e parliamo di futuro: quelli di “scuola” e “futuro” sono due concetti profondamente legati tra loro, anche se spesso non lo si comprende appieno: l’esperienza scolastica condiziona drasticamente la propria vita e le scelte che si compiono, e ci rimane impressa come un tatuaggio per sempre. A testimonianza di ciò, Nicolò Bernacchia e Simone Panosetti, due ex studenti del Liceo Pertini, ci hanno detto la loro.

NICOLÒ BERNACCHIA

• In che modo il percorso scolastico ti ha orientato nel prendere le tue decisioni per il futuro?

Come spesso si dice, la scuola è la “seconda casa” di ogni studente, luogo dove si ha la possibilità di crescere insieme ai propri coetanei e conoscere sé stessi. Tuttavia, la funzione più importante che ricopre l’istruzione scolastica, a mio avviso, è quella di portare a compiere le prime scelte. Nasce tutto da discorsi con gli amici su quale materia possa essere la preferita: c’è chi ama le materie umanistiche, chi trova soddisfazione nel risolvere problemi di natura scientifica, chi scopre di avere un talento artistico superiore alla media, chi si rilassa studiando lingue straniere. Insomma, ognuno trova la sua passione. Talvolta ciò che più ci entusiasma potrebbe anche essere al di fuori delle mura scolastiche, come ad esempio studiare uno strumento musicale o praticare uno sport. In qualsiasi caso, da grande pianista posso far presente come sia di primaria importanza conoscere il contesto storico nel quale sono vissuti determinati artisti per riuscire a comprenderne le scelte musicali, o di come la musica cesserebbe di esistere senza la matematica che permette ai suoni di creare armonie e ne detta il ritmo. Dunque, è ben chiaro come il nostro percorso scolastico in qualche modo ci forgi fin dal primo momento. Personalmente, ho sempre avuto piacere nello studio di materie scientifiche. I professori hanno svolto un lavoro eccellente nel mantenere questa passione, dunque è ben chiaro che la scuola mi ha orientato nella scelta; ciononostante, mi sono domandato più di una volta cosa scegliere esattamente. Ed è qui che è entrato in gioco il discorso precedente sulle passioni extrascolastiche: a casa mi ha sempre intrigato studiare il funzionamento dei computer per poterne tirare fuori il massimo potenziale; inoltre, come prima accennato, suono il pianoforte da molti anni. Confrontandomi con professori, amici e parenti, ho deciso di intraprendere il percorso universitario scegliendo la facoltà di ingegneria informatica, perfetta combinazione tra materie scientifiche e informatica, ed eventualmente riservarmi il conservatorio non appena finiti gli studi. Nonostante i pro e contro che ogni persona può avere nei confronti del sistema scolastico, è doveroso riconoscere la sua funzione di indirizzamento verso il campo che più ci affascina, sia attraverso lo studio delle materie che tramite il confronto con i professori, da ringraziare infinitamente per l’aiuto nella scelta del nostro futuro.

SIMONE PANOSETTI

• Qual è l’insegnamento più grande che ti ha lasciato la scuola?

Oltre ai singoli insegnamenti dei professori, alcuni dei quali per me si sono rivelati dei veri maestri, l’insegnamento più grande che mi ha lasciato la scuola è sicuramente quello di avere una visione di insieme. Avere una visione di insieme significa innanzitutto saper misurare le varie situazioni che la vita ti mette di fronte, per imparare a non lasciarsi sopraffare dai momenti più difficili, che ci sembrano irrisolvibili. In secondo luogo, avere una visione di insieme significa anche comprendere l’importanza di sfruttare il tempo, ma anche l’importanza di perdere tempo. Questo l’ho capito proprio in primo superiore grazie a un mio insegnante che mi ha fatto conoscere uno dei più grandi scrittori del Novecento, Dostoevskij, il quale, in uno dei suoi racconti, sottolinea proprio come perdere tempo non sia devastante per il futuro. A proposito di futuro, avere una visione di insieme ti aiuta anche a capire quali sono tutte le prospettive e tutte le possibilità che hai, consapevole del fatto che non avere le idee chiare sin da subito non è un problema, perché le scelte si possono sbagliare, l’importante è saper reagire e saper rimediare. Tutto questo l’ho capito soltanto dopo aver finito tutti i 5 anni di liceo. Probabilmente se mi aveste posto questa domanda durante il liceo, avrei risposto in maniera differente, perché mi ci è voluto del tempo per maturare dentro di me questo insegnamento che per me è il più grande e il più importante.

Si conclude qui il nostro viaggio alla ricerca della risposta alla domanda “che cos’è la scuola?”: un viaggio che, in realtà, non si conclude mai, perché scuola siamo prima di tutto noi, che la viviamo ogni giorno, imparando tanto dal contatto con i professori e con i compagni, traendone insegnamenti di vita che ci permettono di essere persone migliori e di creare un futuro migliore. Ebbene, una risposta univoca a tale domanda non si può trovare, ma intendiamo lasciarvi con una riflessione: è evidente, dalle testimonianze raccolte, l’importanza che la scuola ha nella costruzione dell’individuo, e cosa c’è di più importante, oggigiorno, se non il fatto di aspirare alla formazione di ognuno come essere umano, prima di ogni altra abilità tecnica e specialistica? Sulla base di ciò, ci sentiamo di definire la scuola come il “cantiere dell’anima”, e in tal senso auspichiamo si interpreti ogni cosa che la riguardi.

4 commenti su “La scuola secondo noi”

  1. Nunzia Spennagallo ha scritto:

    Bellissimo articolo interessante
    e ben scritto! complimenti!

  2. Niccoló Pianigiani ha scritto:

    È molto bello che avete intervietato sia gli studenti che i professori, e lo stile di scrittura è di una professionalità incredibile, bellissimo articolo!

  3. Alessio ha scritto:

    Bravi!!

  4. Benedetta Gulli ha scritto:

    Solo una parola: Brillante!
    A partire dall’idea fino alla realizzazione in sé dell’articolo. La professionalità con cui sono state poste le domande mette ancora più in luce l’acutezza di pensiero degli autori.
    Bravi! E grazie di avermi reso partecipe.

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