Tarantismo e pizzica: storia di una tradizione antica

“Addo’ te pizzicò la zamara?” – Dove ti ha pizzicato il ragno?

Tutti conoscono, chi per curiosità chi per parentela, tarantella e pizzica. Queste parole ci rimandano ai balli tradizionali del Mezzogiorno, oggi però eseguiti da ballerini professionisti. Ma quali sono le vere radici di questa tradizione? 

I balli tradizionali pugliesi legati al morso della tarantola sono sicuramente i più noti – specialmente la pizzica -, ma non gli unici. Ogni regione del Meridione, in particolare Calabria e Campania, ha le proprie tarantelle, mentre in Sardegna il ballo prende il nome di Argia, dal nome dialettale del ragno velenoso. 

Andiamo alla ricerca del “pizzico del ragno”. I balli popolari in questione si riconducono al cosiddetto Tarantismo o Tarantolismo. Le prime attestazioni risalgono al XIV sec. Esso viene definito sindrome culturalmente caratterizzata di tipo isterico, parolone che indica un insieme di disturbi psichici e somatici – cioè della mente e del corpo – caratteristici di un determinato contesto etnico e culturale. Ciò non significa che tali disturbi non interessino anche altre persone, però essi si legano, nei casi specifici, agli aspetti tipici di un dato contesto culturale. Il tarantismo non è l’unica sindrome culturale e ne esistono altre, soprattutto nel Sud Est asiatico.

Da dove deriva il nome? Le sue origini si ricollegano al ragno detto tarantola, che etimologicamente proviene dalla città di Taranto. Difatti, i disturbi caratteristici di questa sindrome – attacchi epilettici, convulsioni, depressione, malinconia, dolori muscolari – erano attribuiti al morso di un ragno. Il fenomeno si manifestava generalmente in estate, quando avveniva la mietitura del grano o la raccolta del tabacco da parte soprattutto delle donne, che erano i soggetti più coinvolti. I ragni erano presumibilmente nascosti su spighe e foglie. Non è possibile stabilire con certezza di quale ragno si tratti: quello noto come tarantola, lycosa tarantula, ha un morso doloroso ma poco velenoso e vive per lo più di notte e in ambienti sabbiosi. Possibile è l’associazione con la malmignatta, latrodectum tredecimguttatus, stesso ragno dell’Argia sarda, cui però non possono essere attribuiti effetti vasti quanto quelli del tarantismo.

Ernesto De Martino, antropologo ed etnologo, autore de La terra del rimorso, dopo varie escursioni in Salento con la sua equipe specializzata, riteneva che l’idea del morso del ragno dovesse in realtà ricollegarsi ad un disagio esistenziale da curarsi tramite il rito. Le origini del tarantismo, quindi, non vanno ricercate soltanto nella cura al morso, ma anche nell’importanza simbolica del fenomeno. Perciò c’è un altro significato da considerare. Occorre introdurre il concetto di crisi della presenza, elaborato da De Martino. Di fronte ad una situazione sociale e storica critica, una comunità vede la propria esistenza al mondo, cioè la propria identità culturale, messa a rischio. Ciò si riscontra nelle classi contadine del Salento, minacciate dalla cultura predominante dei ceti più agiati. La comunità ha quindi bisogno di riaffermare la propria identità e si rifugia in certezze simboliche. Anche noi, talvolta, ci affidiamo a portafortuna e simboli. Si attua così la destorificazione del negativo: ciò che è brutto e doloroso viene eclissato dalla realtà, dalla storia. La crisi viene introietatta nel mito, dove ogni problema può essere abbattuto, perché intervengono forze magiche, trascendenti, divine. Il tutto si concretizza nel rito. Esso fornisce una ripetitività che dà sicurezza: così nascono le tradizioni. Forse ciò ha a che vedere anche con le religioni. Detto ciò, il tarantismo rimase per lo più pagano e fu poco influenzato dalla religione: solo in provincia di Lecce si riteneva che la guarigione derivasse dalla grazia di San Paolo. Ma, poiché le tarantate – ovvero le persone “pizzicate” e “possedute” – si abbandonavano ad atti osceni, si cercò di evitare il collegamento con il santo. Questa tirata è utile per comprendere le ragioni che potrebbero aver portato alla nascita di un fenomeno che resta tutt’oggi misterioso. 

I musicisti cercano la melodia giusta per risvegliare la taranta

Perché le donne erano più colpite degli uomini? Il tarantismo si lega anche a un disagio individuale, non solo comunitario. Consideriamo la loro condizione di persone relegate alla vita domestica e al lavoro nei campi, sotto il peso della cultura patriarcale: il rituale del pizzico rappresentava un momento di evasione ed emancipazione. Potevano così dare anche sfogo ai desideri del proprio corpo.

Il rito era costituito di più fasi e componenti, di cui una musicale, una coreutica – ovvero di danza -, una cromatica. Per curare l’avvelenamento, si ricorreva alla cosiddetta catartica – cioè purificazione – musicale o esorcismo musicale. La musica era pressoché quella della pizzica, ma più concitata. Quando la tarantata iniziava a mostrare i sintomi del pizzico, ci si riuniva in casa o in piazza e si facevano venire dei suonatori, principalmente di tamburello e violino. La prima fase consisteva nell’identificazione della taranta: i suonatori provavano diverse melodie prima di trovare quella corrispondente alla taranta che aveva pizzicato; a quel punto la tarantata, distesa su un lenzuolo bianco, cominciava a rantolare, come posseduta dal ragno stesso, e gridava. Diversi erano i tipi di taranta: libertina, triste, muta, tempestosa, d’acqua, corrispondenti ai sintomi manifestati. Altro modo per identificare la taranta erano i colori: alla tarantata venivano mostrate delle fasce colorate, in dialetto “nzacareddhe”, e quella che le dava fastidio corrispondeva al colore della taranta e andava spezzata. Poi la tarantata si sollevava, incurvando la schiena, e prendeva a danzare sfrenatamente, guidata dal ragno. Entrava quindi in competizione con la taranta, immaginariamente la inseguiva e la calpestava. Cadeva poi a terra priva di sensi e il rituale si ripeteva fino a sera. Ma si ripresentava in realtà ciclicamente per anni, cosa che testimonia la natura simbolica del rito. L’utilizzo dell’esorcismo tramite il ballo sfrenato, comunque, non è semplicemente una superstiziosa credenza popolare: il movimento fa aumentare i battiti cardiaci, la sudorazione e il rilascio di endorfine, tanto da alleviare l’effetto del veleno. 

La neopizzica dei giovani

Il più noto musico di tarante fu Luigi Stifani, detto Mesciu Gigi. Al suon di violino, curò numerosi casi di pizzichi, da lui raccolti nel diario Elenco del tarantolismo e poi nel volume Io al santo ci credo. 

E’ difficile conoscere le radici storiche del tarantismo. E’ però impossibile non notare analogie con l’antica Grecia, teatro di molteplici rituali simili. Qui con la musica si cercava la melodia giusta per aggradare la divinità o il demone impossessatisi di una persona. I principali erano il coribantismo – dove i coribanti, sacerdoti di Cibele, si davano a danze sfrenate e orgiastiche accompagnati da tamburi e flauti – e i culti dionisiaci, fatti di riti misterici in cui delle donne, dette menadi o baccanti, acquisivano il furore di Dioniso e ne celebravano le vicende mitologiche. Anche i pitagorici usavano la musica come terapia. Come sono giunti questi rituali in Italia? Taranto era una colonia greca, per di più famosa per la musica terapeutica. Quando Roma conquistò la città e deporto migliaia di prigionieri tarantini nella capitale, questi intonarono canti e nenie per mesi, per commemorare la patria perduta. La tradizione potrebbe essere passata per lì. Grecia e Puglia non sono state le uniche a ospitare rituali di questo tipo: se ne trovano anche in Africa, segno forse di una comune matrice mediterranea. 

Attenzione: tarantismo e pizzica non sono la stessa cosa. Il primo termine si riferisce alla sindrome e ai rituali utilizzati per curarla, il secondo indica esclusivamente il ballo tradizionale. Questo, che nella forma originale assume il nome di pizzica pizzica, era meno concitato e veniva eseguito anche in occasioni conviviali, in assenza di pizzichi. La distinzione si nota bene nel film Pizzicata, di Edoardo Winspeare, che consiglio di vedere (si trova su YouTube). La pizzica pizzica era caratterizzata da un ballo di coppia fra due persone casuali, due innamorati – con l’utilizzo di un fazzoletto – o due rivali. In questo caso poteva diventare pizzica scherma, un duello inscenato con il solo utilizzo delle mani e senza colpi effettivi. Sia il rituale sia la danza si estinsero verso gli anni Settanta del Novecento. Tuttavia, già a partire dagli anni Novanta e Duemila, la pizzica fu protagonista di un fenomenale Revival, grazie a giovani interessati nelle tradizioni. Oggi sono numerosi i ballerini di pizzica, le associazioni culturali che la promuovono e le band che l’hanno adottata come genere musicale. Si tratta della cosiddetta neopizzica, influenzata da generi esterni e non identica alle forme tradizionali locali, ma comunque evocativa. La notte della Taranta, festival itinerante fra le città del Salento, è ad oggi la più importante espressione di musica popolare salentina.

Ancora oggi, ballare la pizzica potrebbe rivelarsi un buon modo per combattere i nostri disagi esistenziali… 

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