Fast fashion: quanto pesa su società e ambiente

Il Fast Fashion, letteralmente moda veloce, è uno dei fenomeni più interessanti della nuova cultura della moda. Si tratta di una tendenza iniziata negli Stati Uniti negli anni ’80 ed esplosa negli anni 2000 in tutto il mondo. Con questo termine si fa riferimento al settore dell’abbigliamento che realizza abiti di bassa qualità a basso prezzo e che lancia nuove collezioni in continuazione. Stiamo quindi parlando delle grandi catene di abbigliamento da cui proviene la maggior parte dei nostri vestiti. 

Vendere abbigliamento a prezzi economici significa portare al minimo i costi di produzione e perciò si tende a svalutare il lavoro di realizzazione dei capi. Quindi se da una parte può dare una vasta scelta di acquisto ai clienti dall’altra c’è da valutare anche il basso costo della manodopera, spesso svolta in paesi in via di sviluppo, e l’impatto ambientale che questa “velocità” impone.

Il settore dell’abbigliamento è infatti uno dei settori che contano un numero maggiore di lavoratori sfruttati, tra cui anche bambini. Ricordiamo per esempio le giovani donne e bambine assunte secondo lo schema dello “Sumangali”. Secondo questo sistema, diffuso principalmente in India, le donne che lavorano nei telai vengono letteralmente rinchiuse tra i 3 ed i 5 anni all’interno delle fabbriche, con ritmi di lavoro estenuanti e paghe misere. 

Fonte immagine: Rose_Mcavoy su Pixabay

Inoltre l’industria della fast fashion è responsabile del 10% dell’inquinamento globale, conquista così il triste secondo posto come settore più inquinante del mondo, preceduto solo dal settore petrolifero. Molti capi di abbigliamento sono realizzati perlopiù in materiale plastico. Le microfibre di questi abiti finiscono nei nostri oceani intaccando l’ecosistema marino. Alcune delle sostanze presenti possono anche nuocere alla salute causando dermatiti o problematiche di maggior rilievo. È dunque buona norma controllare l’etichetta dei prodotti per essere consapevoli dei materiali che si stanno acquistando. Bisognerebbe prediligere fibre di origine naturale, come ad esempio il cotone, la lana, la seta.

Per il nuovo interesse globale verso la green economy le grandi aziende spesso conducono campagne pubblicitarie in cui dichiarano alcune collezioni come “green”, o fanno programmi di raccolta per gli abiti usati, ma secondo gli studi solo l’1% di questi capi di abbigliamento può essere davvero riciclata. Ci troviamo difronte al fenomeno del greenwashing, ovvero un puro stratagemma di marketing. La vastità e la dislocazione delle aziende dei grandi marchi permette loro di aggirare i controlli.

Una produzione cosi vasta e continua comporta il rischio di non vendere tutta la merce. Questi “scarti” il più delle volte vengono bruciati, andando così ad aumentare l’impatto ambientale del prodotto. A volte però siamo noi stessi a contribuire al danno: quando un abito si rovina, o non ci piace più, finiamo per buttarlo; un’alternativa più ecosostenibile sarebbe quella di donarlo.

Ogni volta che si compra da queste enormi aziende si è complici di sfruttamenti umani, inquinamento e sprechi. Nonostante ciò, ai nostri occhi appaiono come l’unica opzione che possa conciliare il bisogno/desiderio di possedere nuovi capi di abbigliamento e la necessità di una spesa moderata, in parte anche a causa del bombardamento mediatico. La soluzione ottimale sarebbe smettere di acquistare capi provenienti da questi giganti industriali e dare la priorità ai prodotti delle piccole aziende, dove vi sono maggiori controlli e un rapporto qualità prezzo superiore. Spesso si pensa che i business minori abbiano prezzi esageratamente alti ma non è sempre così, basta fare qualche ricerca online per rendersene conto. Vi è anche un’altra possibilità: comperare abiti nei negozi dell’usato, i così detti thrift store di cui si parla molto negli ultimi tempi, dove è possibile acquistare prodotti di seconda mano; a volte si trovano oggetti e capi molto interessanti.

Si potrebbe anche obbiettare che comprare abiti delle grandi aziende sia più semplice, veloce, meno dispendioso, e che permetta inoltre di restare al passo con i vari trend. Prestando queste accortezze potremmo però acquistare in modo più consapevole, avendo anche la possibilità di maturare uno stile personale grazie ad una maggiore possibilità di scelta tra le innumerevoli proposte dei vari brand. 

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Cover: Immagine di PurPura su Pixabay

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