La meditazione: funzionamento e benefici

La meditazione è considerata da molti come una pratica esoterica, religiosa (e di conseguenza, superstiziosa). Per questo difficilmente trova posto in una società profondamente scientifica e materialistica come la nostra. Ma questa visione è dovuta al pregiudizio che noi moderni nutriamo nei confronti di ciò che ci arriva da una tradizione spirituale. Gli studi condotti negli ultimi anni sulle varie pratiche meditative ne hanno testimoniato l’efficacia e spiegato il funzionamento fisiologico. In questo articolo ci si baserà su queste scoperte per spiegare i benefici e i meccanismi della meditazione.

Perchè dovrei meditare? Parte 1: gestione dell’ansia

L’ansia è la preoccupazione degli eventi futuri, la paura di ciò che accadrà o che potrebbe accadere; è la paura delle conseguenze. È un meccanismo evolutivo molto importante, che ha aiutato i nostri antenati a evitare pericoli mortali, ma a volte può diventare un peso e un’inutile fonte di stress, che ci impedisce di fare ciò che vorremmo. In questi casi è utile conoscere dei modi per tranquillizzarci, per essere calmi di fronte alle nostre paure.

Uno di questi modi è appunto la meditazione, che può aiutarci a diminuire lo stress sia nel momento in cui lo si prova, sia nel corso della giornata.

Per capire come funziona dobbiamo sapere che il sentimento d’ansia è generato da una rete cerebrale chiamata “sistema della condizione di default” (SCD), una regione molto estesa che si occupa di varie funzioni, come la progettazione del futuro, il ricordo del passato, il riflettere su se stessi e sulle altre persone. È il sistema della condizione di default che ci fa preoccupare di cosa succederà in futuro, di cosa penseranno le persone attorno a noi o delle conseguenze di una nostra azione passata.

In uno studio del 2013 si è scoperto che l’incapacità di sopprimere l’attività della rete SCD è associata non solo con l’ansia, ma anche con depressione, il deficit dell’attenzione e disturbo da stress post traumatico. In uno studio del 2011 è stata registrata inoltre una diminuzione del livello di attività nel SCD dei cervelli di meditatori regolari, sia durante la meditazione sia a livello basale, ovvero durante il corso della giornata. Così è stato spiegato il legame tra ansia e meditazione: la pratica meditativa, inibendo l’attività del SCD, impedisce la generazione dei pensieri negativi che causano l’ansia, inoltre modifica le connessioni del SCD rendendo più facile controllarlo anche quando non si sta meditando.

Sistema della condizione di default
Sistema della condizione di default, scansione fMRI

Perchè dovrei meditare? Parte 2: aumento della concentrazione

Per capire in che modo la meditazione consente di aumentare la qualità e la durata della nostra concentrazione dobbiamo tornare al sistema della condizione di default e capire in che modo questo agisce negativamente sulla nostra attenzione.

Come possiamo intuire dal nome, questo sistema è attivo “di default”, ovvero quando non stiamo svolgendo dei compiti che richiedono la nostra attenzione, ad esempio quando stiamo camminando o siamo nella doccia. Quando siamo concentrati nell’ascoltare una lezione, nel leggere un libro o nello svolgere un problema di matematica, il SCD viene inibito da un altro sistema, il sistema di controllo esecutivo (SCE). Esso si occupa di gestire l’attenzione, la memoria a breve termine e l’attività di problem solving.

Se l’interazione tra questi due sistemi non è regolata bene, ci ritroviamo a vagabondare con la mente quando dovremmo invece essere attenti al presente: il sistema della condizione di default ci rapisce e ruba il comando al sistema di controllo esecutivo. Questo è quello che accade quando in classe iniziamo a fantasticare sul futuro, a fare sogni ad occhi aperti, quando iniziamo a pensare ai fatti nostri invece che rimanere attenti. 

Aumentare la concentrazione significa rendere più forte il sistema di controllo esecutivo; significa essere capaci di non farsi trasportare dai pensieri che ci distraggono e riportare la nostra attenzione al presente quando vogliamo. La meditazione non è che un allenamento per questo.

Come funziona la meditazione per l’aumento della concentrazione?

Osserviamo cosa succede nel cervello durante una sessione di meditazione: il nostro soggetto di sperimentazione è monitorato da una macchina di risonanza magnetica, che misura l’attività cerebrale, il suo compito è semplicemente di concentrarsi sul respiro. Presto però il soggetto si distrae e inizia a vagabondare con la mente, contemporaneamente nella risonanza magnetica si registra un aumento di attività nel sistema della condizione di default. La cavia però si accorge di essersi distratta, così porta di nuovo l’attenzione al respiro, durante questo processo si registra l’aumento dell’attività del sistema di controllo esecutivo, che permane durante il mantenimento della concentrazione.

Durante una sessione di meditazione si susseguono vari cicli come questo: la mente si distrae, ci si accorge di essersi distratti, si torna al respiro e il ciclo continua (fonte).

Facendo pratica in questo modo si aumenta l’antagonismo tra il sistema della condizione di default e il sistema di controllo esecutivo, rendendo la nostra soglia di attenzione più affilata e duratura. (fonte)

Il No-Mind state

Ciò che stupisce le persone e le convince a meditare spesso non sono i benefici, ma le sensazioni e le esperienze che si provano meditando. Tra queste quella più significativa è quella del No-Mind state, anche noto come Dhyana, ovvero l’esperienza che si prova quando, a causa dell’inibizione del sistema della condizione di default, i pensieri cessano e la mente diventa una stanza vuota dove esiste solo la nostra coscienza.

È difficile credere che sia possibile smettere di pensare, se si prova a fermare i pensieri si scopre rapidamente che non è possibile farlo, ma il dhyana infatti non si raggiunge in questo modo. Meditare per raggiungere il dhyana è molto più simile ad addormentarsi che a svolgere un’azione volontaria: anche se lo indichiamo con un verbo, non siamo noi ad addormentarci, non siamo noi che, quando vogliamo, spingiamo un interruttore nel nostro cervello e spegniamo le luci, tutto quello che possiamo fare per dormire è metterci comodi sul letto, in una stanza buia e possibilmente silenziosa, è il sonno che viene da noi, non noi che ce lo prendiamo. 

Il no-mind state funziona allo stesso modo del sonno: attraverso tecniche specifiche si creano le condizioni adatte per raggiungere il no-mind state, poi è lui è a sopraggiungere.

La mindfulness, che è il tipo di meditazione più comune, oggetto di moltissime app di meditazione guidata, non è il metodo più efficace per provare il Dhyana. Per esperienza personale posso indicare la respirazione trifasica (triphasic breathing meditation) e la respirazione a narici alternate (alternate nostril breathing meditation), che sono dei metodi molto facili per avere questa esperienza, bisogna però avere l’accortezza di seguire con fedeltà le istruzioni.

Per una guida su queste e tante altre tecniche di meditazione consiglio il sito: https://wiki.healthygamer.gg/en/Meditation_Techniques e il canale Youtube e twitch del Dr.Alok Kanojia (@HealthyGamerGG), nel quale sono presenti molti video di meditazione guidata, oltre che tantissime informazioni per approfondire l’argomento.

Cover: realworkhard su Pixabay

 

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