Un’Antigone contemporanea

L’Antigone di Sofocle, la cui prima rappresentazione risale al 442 a.C., ad Atene, è una delle tre tragedie del Ciclo Tebano.

Tutto cominciò da un rifiuto: Antigone, letteralmente significa, infatti, “colei che va contro” – da αντι “contro” e la radice γον (gon) di γìγνομαι (ghìgnomai), ossia “essere”, “andare”. Antigone è l’eroina che andò contro la legge dello Stato, colei che preferì seguire le leggi eterne e non scritte, quelle del cuore, seppellendo il fratello Polinice anche contro il volere di Creonte, re di Tebe.

Antigone è colei che rappresenta il “γενος” (ghènos) – la stirpe -, colei che scelse di opporsi alla Legge. Donna forte, volitiva, emancipata, appare convinta delle proprie idee, per le quali è anche pronta a morire.

Nell’Antigone, in tutta la vicenda, assistiamo ad un agone tra “γενος” (ghènos) e “νòμος” (nòmos), tra singolo e collettività, tra legge naturale e legge umana, tra donna e uomo, tra Antigone e Creonte.

Ma è la politica di Creonte che Sofocle condanna, e sarà il nuovo re di Tebe – infine in solitudine – lo sconfitto.

antigone

Antigone

Antigone è l’incisiva eroina protagonista della tragedia, una donna ribelle che segue i propri principi anche a costo di stravolgere l’ordine della comunità;  è inoltre un personaggio dinamico ed estremamente complesso, che si distinguendo per questo dal contesto di riferimento.

Al Teatro Argentina di Roma, Antigone è tornata a vivere e a dialogare con noi, grazie al regista Federico Tiezzi, che della tragedia greca ha realizzato un adattamento  molto personale e moderno, così da poter essere compreso maggiormente da un pubblico contemporaneo.

Sia la scelta dell’ambientazione, un ospedale-obitorio, che quella dei costumi si basano su una rielaborazione dell’opera in chiave contemporanea e sul taglio personale dato dalla regia.

Singolare la scena d’esordio della tragedia: tutta la famiglia è riunita a tavola – simbolo questo dell’unità del γενος – per mangiare piatti prelibati e tutti i commensali sembrano tranquilli, eccetto Antigone, la quale appare irrequieta e nervosa per la presenza di un corpo poco lontano dalla tavola: è il corpo del defunto Polinice, il fratello che andò contro la città di Tebe e che, perciò, rimase insepolto e “illacrimato”. La scena si conclude con la figura di Antigone, che, alzandosi, lancia per terra un piatto di ceramica. Poi buio. Dominano sulla scena la contemporaneità e la maestosità degli allestimenti.

Ma di fronte alla monumentalità scenica ed all’attenzione verso una trasposizione moderna dei personaggi, sembra venir meno il messaggio senza tempo di Antigone. Su tutto avrebbe dovuto vincere la sua opposizione per comprendere il peso del suo dissenso. 

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