Il dibattito tra determinismo e libero arbitrio

La mattina del 14 dicembre 2012 Adam Lanza si alzò dal letto, prese il suo fucile e sparò 4 colpi contro la madre, ancora addormentata. Poi uscì di casa, prese la sua auto e si diresse verso la scuola elementare Sandy Hook, fece irruzione e uccise 27 persone tra insegnanti e bambini.

Si possono avere molte reazioni diverse al sentire questa storia, che infatti ha acceso un gran dibattito negli Stati Uniti. Tuttavia, a parte una ristretta minoranza di persone, tutti, al sentire questa storia, credono di poter affermare “io non lo farei mai, sono libero di scegliere, e non sceglierei mai un massacro”.

Questa affermazione è il fulcro del dibattito tra il Libero Arbitrio e il Determinismo.

Per chi sostiene il libero arbitrio, Adam Lanza ha scelto liberamente di uccidere quei bambini, e avrebbe potuto fare altrimenti se solo avesse voluto. Per chi sostiene il Determinismo, invece, Lanza era costretto a commettere il massacro perché era suo destino, non solo non avrebbe potuto fare altrimenti, ma la strage era prevedibile sin dall’inizio dei tempi in ogni suo dettaglio.

Ad oggi è difficile trovare qualcuno che creda nel destino, se non che tra una ristretta cerchia di filosofi. Tuttavia è importante notare che da un punto di vista logico e filosofico, la teoria del Determinismo è quella più solida e convalidata.

Conoscendo questo, sorgono molti interrogativi. Ad esempio: se Lanza è solo manovrato dal destino, lo si può davvero definire responsabile delle sue azioni? Quando tutto è necessario, quando nessuna azione può essere evitata, come facciamo a decidere chi punire? Se la colpa è del destino allora qualunque omicida è innocente, e non solo, ogni merito è dovuto alla fortuna più che ad un vero sforzo volontario, se il destino vuole si avrà successo, sennò miseria, e non c’è alcun modo di controllare questo meccanismo.

E se il mio destino fosse quello di essere un nuovo Lanza? Come si potrebbe evitarlo?

C’è chi considera il discorso sul Libero Arbitrio non adatto a tutti proprio a causa di questi interrogativi, ed effettivamente sono domande che possono risultare dannose per la nostra serenità, specialmente quando si inizia a credere convintamente nella verità del Determinismo. Si accetta di avere un destino, ma ci si continua a chiedere se il proprio destino sarà come noi lo vogliamo. Si accetta di non avere controllo, ma si continua a desiderarlo.

Inoltre la scelta è una delle azioni più odiose che noi esseri umani dobbiamo compiere. La sensazione di essere indecisi e di dover sfidare la sorte è verissima ed evidentissima, come si può credere di essere abbandonati al destino e contemporaneamente vivere continuamente la pressione della scelta?

Dimostrazioni Notevoli

Come si è detto, il dibattito tra Libero Arbitrio e Determinismo va avanti da molti secoli. La storia non ci interessa particolarmente, ma è importante analizzare alcune argomentazioni notevoli.

La visione intuitiva della vita ci porta a pensare di essere liberissimi di scegliere ogni nostra azione, e questa è un’intuizione che affonda le sue radici anche e soprattutto nello stress dell’aut-aut, che è molto difficile da negare. Dall’altro punto di vista, la fisica classica aveva provato che ogni cosa ha una causa, e che l’evolversi di ogni dato fenomeno può essere predetto da una formula matematica.

In primo luogo abbiamo che, se ogni cosa ha una causa, allora anche le azioni umane devono averla. Non possiamo affermare che le azioni trovino la loro causa nell’uomo che le compie, perché anche lui dovrà agire costretto da una causa, e quella causa dovrà nascere da un’altra ancora, e così via fino a che non si arriva alla fantomatica “causa prima”.

I problemi di questa argomentazione sono due. Il primo è che si assume che “tutto abbia una causa”, ma non c’è nessuna sicurezza che tutti i fenomeni obbediscano al principio di causa-effetto, e nella storia della filosofia sono stati sollevati dubbi anche contro la validità di questo principio in occasioni in cui sembra validissimo. Un esempio di fenomeno randomico sono le posizioni di un elettrone, sembra che non ci sia uno schema causale preciso che le possa prevedere. Il secondo problema è che, anche se fosse certo che tutti i fenomeni naturali hanno una causa, si dovrebbe comunque escludere il fatto che le azioni umane non siano controllate da qualcosa di soprannaturale, come ad esempio un’anima.

Come è ben noto, argomentare in favore di un’anima porta moltissimi problemi logici riguardanti l’interazione tra anima e materia, e la concezione stessa di un’anima può essere attaccata in tanti modi, che non è possibile discutere in questo articolo. Molti filosofi sfruttano la contraddizione tra il principio di causa- effetto e la sensazione immediata ed evidente della scelta proprio per affermare l’esistenza di un’anima, che sarebbe “l’unico modo per spiegare questa contraddizione”. Nonostante sia una via molto percorsa, dedurre un’anima da questa contraddizione rimane un argomento tappabuchi (Si afferma che un fenomeno è generato da una certa causa, la quale però esiste solo in funzione di permettere quel fenomeno. Esempio classico è “Zeus causa i fulmini”.), che quindi è difficilmente considerabile una spiegazione. (Una spiegazione accettabile del Libero Arbitrio in termini di anima richiederebbe come minimo un’esposizione del funzionamento fisico dell’anima, cosa impossibile essendo essa trascendentale. Al contrario è immaginabile che in futuro sia possibile dare una spiegazione meccanicistica dei comportamenti umani. Per questo motivo si dovrebbero preferire le spiegazioni naturalistiche rispetto a quelle metafisiche.)

Il secondo punto del determinismo “classico” è che ogni cosa può essere predetta. Insomma, allo stesso modo in cui si può predire la configurazione di un tavolo da biliardo dopo il colpo della stecca, così si può predire la configurazione di ogni particella dell’universo a partire dal big-bang. Basta solo la conservazione della quantità di moto, la conservazione dell’energia e saper risolvere i sistemi.

Il fatto che sia un lavoro impossibile nei fatti non è il punto. Se l’universo è, anche solo in teoria, prevedibile, allora ogni azione umana è già scritta, il corso di una vita è determinato quanto la traiettoria di una freccia: qualitativamente sono due fenomeni uguali, solo che uno è più complesso da descrivere dell’altro. Questa argomentazione è divenuta famosa con il demone di Laplace, un’immaginaria intelligenza talmente vasta da essere in grado di risolvere il sistema di cui parlavamo sopra, ed è quella che trasmette di più lo spirito del Determinismo classico, ovvero quello di un mondo governato da un destino nato da un universo perfettamente geometrico e ordinato.

Il demone di Laplace però non è possibile, né in pratica né in teoria, è stato confutato dalla a meccanica quantistica e dalla scoperta che non è possibile conoscere contemporaneamente posizione e quantità di moto di una particella (come l’elettrone di cui si discuteva prima), men che meno di tutte le particelle dell’universo.

Appare quindi che, seguendo la stessa linea di pensiero di Laplace, il mondo non sia determinato, ma piuttosto randomico e governato dal caso e dalla imprevedibilità.

In conclusione, tuttavia, non si può arrivare ad escludere o avallare il libero arbitrio in base alle prove classiche. Il fatto che l’universo sia o non sia randomico, in realtà non tange la questione del libero arbitrio, perché se le nostre scelte fossero dovute al caso, cosa che sembra improbabile, non sarebbero comunque dovute ad una nostra supposta volontà libera. Il mio carattere sarebbe mia responsabilità quanto il risultato di un lancio di dadi è responsabilità di chi lo osserva.

Le prove tradizionali del Determinismo non sono sufficienti. È necessario attaccare il problema da un punto di vista completamente diverso e scendere nei meandri di quelle intuizioni che hanno, in principio, avallato il libero arbitrio.

Intuizioni

Osserviamo continuamente la sensazione di dover scegliere, i Deterministi, tuttavia, la definiscono un’illusione continua. Ci devono essere dei motivi per cui si definisce qualcosa un’illusione, e dato che tutte le argomentazioni classiche non bastano, la sensazione della scelta deve essere una prova importante a favore del libero arbitrio, e non può essere scartata in base ad una teoria scientifica che non la prenda in considerazione. Non si può affermare che la scelta libera sia un’illusione perché la fisica ci dice che ogni cosa è prevedibile: quando viene presentata dell’evidenza empirica è la teoria che deve cambiare, non l’evidenza.

È anche vero, però, che esiste un dato empirico che contraddice la sensazione della libertà della scelta, e perciò o uno o l’altro deve essere un’illusione. Questo dato è il fatto che i pensieri non sono generati volontariamente, quanto piuttosto emergono dal subconscio senza che una volontà li possa modificare. Se i pensieri non sono liberi, chiaramente, anche le scelte, che si basano sui pensieri, non lo possono essere, e di conseguenza nemmeno le azioni lo sono.

Se si fa caso ai propri pensieri si nota che essi sembrano apparire dal nulla. Potrebbe benissimo esserci un cartesiano genio maligno che ci suggerisce ogni nostro pensiero tramite un chip impiantato nel cervello, l’esperienza del pensare avrebbe le stesse caratteristiche che ha ora. Non possiamo decidere quando pensare e quando smettere, e proprio nel caso in cui si provi a smettere ci si accorge che i pensieri emergono piuttosto che venire creati, e i voleri emergono proprio come i pensieri.

Si sente di essere il creatore dei ragionamenti o dei discorsi che facciamo a noi stessi o ad altri, tuttavia è anche vero che spesso ci capita di discorrere o di iniziare a ragionare involontariamente, ad esempio durante una sessione di meditazione. Ciò che rende la meditazione difficile è proprio il fatto che la mente pensa in automatico, e solo concentrandosi a fondo è possibile fermare i pensieri.

Il funzionamento biologico di questo meccanismo è spiegato in questo articolo[1], tuttavia per quanto riguarda il nostro scopo è utile concentrarsi solo su una coppia di fenomeni, l’identificazione con la res cogitans e la scelta.

Identificarsi con ciò che pensa è sbagliato perché il pensiero non può essere generato senza il nostro volere e contemporaneamente essere generato da “noi”. È l’identificazione con la res cogitans ad essere illusoria, perché è una visione che crolla sotto uno sguardo attento, ed è possibile solo quando siamo, in una certa misura, distratti.

D’altro canto la scelta si basa su un ragionamento della res cogitans: se i ragionamenti avvengono meccanicamente, allora anche le scelte sono meccaniche e, se la scelta è compiuta dalla res cogitans, allora non è compiuta da “noi”. Si può dimostrare che i ragionamenti sono meccanici perché, in primo luogo, il ragionamento è solo una stringa di intuizioni, e in secondo, perché anche il meta-ragionamento è un’intuizione.

Le intuizioni emergono come tutti i pensieri, o dalla memoria o da un momento di “illuminazione”, che forse è la prova maggiore che non creiamo volontariamente i pensieri. Quando formiamo una stringa di pensieri, un giudizio, poi possiamo analizzare il giudizio che noi stessi abbiamo creato come se fosse un’informazione nuova, come se avessimo letto il giudizio su un libro. Questo è il meta-ragionamento, il ragionare sui ragionamenti.

Il cambio di volere (voglio A, e poi cambio idea e voglio B), spesso usato come prova intuitiva della libertà del volere, non è altro che un esempio di meta-ragionamento. Un volere appare e viene analizzato criticamente dall’intelletto, facendo emergere un volere alternativo.

Il meta-ragionamento risolve uno dei problemi maggiori delle teorie meccanicistiche. È un fatto che gli esseri umani siano dotati di “coscienza”, ovvero di qualcosa che ci rende consapevoli dei nostri pensieri e stati d’animo, ma a cosa servirebbe una cosa del genere in un mondo meccanicistico? Se le azioni sono determinate tramite un calcolo allora si potrebbe creare uno zombie, ovvero un essere “vivo” ma inconsapevole di esserlo, in grado di agire esattamente come un umano cosciente, e se questo fosse vero allora la coscienza sarebbe un fatto inesplicabile agli occhi dell’evoluzione, perché sarebbe una struttura vestigiale che è sempre stata vestigiale, e che quindi non ha portato alcun vantaggio agli esseri che l’avevano evoluta. (una struttura vestigiale è un residuo di una struttura che era stata utile ai nostri antenati. Il coccige è una struttura vestigiale: è il residuo della coda, ma, al contrario di una coda, la coscienza in un mondo meccanicistico non può essere stata utile a qualcuno nemmeno in passato).

Tuttavia uno zombie, privo di coscienza, ha un chiaro svantaggio: è incapace di meta-ragionamento, perché è necessario essere coscienti dei propri pensieri per poterli analizzare nuovamente. Questo non toglie che il processo di reiterazione sia meccanico, e non rende la coscienza una forza metafisica o soprannaturale, anzi, ne giustifica l’esistenza alla luce dell’evoluzione.

Precisazioni sul meta-ragionamento e sull’Io

La coscienza osserva, o rappresenta, solo una frazione di ciò che realmente percepiamo. Fa attenzione ai tuoi piedi, lettore, senti il peso del tuo corpo? Senti il calore del pavimento o la pressione della scarpa? e ora fa attenzione alla tua schiena: senti il contatto tra te e la sedia?

La coscienza stava percependo le parole, si era totalmente scordata di avere dei piedi o di essere seduta, il suo occhio non è infinito.

Il cervello è attivo continuamente, solo una frazione della sua attività è cosciente, questa frazione viene resa cosciente per delle ragioni. il “Genio” parla da solo perché ha bisogno di ascoltarsi: vuole fare qualcosa, ma per sapere se è una buona idea deve percepire sé stesso, sente il suo eco e lo analizza come se fosse il volere di qualcun altro, il suggerimento di un amico, rievoca motivi per cui non dovrebbe seguire il pensiero iniziale, ma poi lo mette in relazione con altri motivi per cui dovrebbe farlo: cosa sarà più forte? Se gli stimoli sono alla pari continuiamo a reagire ai nostri pensieri finché l’azione non viene decisa. La coscienza, e il reiteramento del pensiero che rende possibile, è fondamentale per il ragionamento e quindi per le decisioni complesse. Potremmo dire che il reiteramento del pensiero è il ragionamento.

Chi sono io se non sono ciò che pensa?

Un problema che si solleva con la teoria del meta-ragionamento è che incrina la comune concezione di Io. Si è detto: “se la scelta è compiuta dalla res cogitans, allora non è compiuta da “noi””, ma se non siamo ciò che pensa, allora cosa siamo?

L’idea di Io diventa un’approssimazione del linguaggio. Se davvero dovessimo trovare un io allora potremmo considerare la coscienza stessa, “ciò che osserva”, come Io. Mi sembra che ci siano dei problemi con questa ipotesi, ma anche se fosse vera non potrebbe mai essere compatibile col concetto comune di Io.

Il “vero Io” non giudica, non ragiona, non parla, non decide, non fa altro che osservare.

Ciò che spaventa del Determinismo è legato alla mancanza di controllo. E se commettessi un omicidio a causa del mio genio maligno?

In primo luogo il “vero Io” non può davvero essere preoccupato per questa circostanza. Esso osserva, non giudica, rimarrebbe imperturbato anche se fossimo condannati a morte ingiustamente, o se stessimo venendo torturati.

D’altra parte notiamo che è proprio il genio maligno colui che si preoccupa della possibilità

di commettere un omicidio, la macchina della mente non vuole uccidere nessuno, quindi non c’è da preoccuparsi. Se, un giorno, il genio cambiasse idea, allora non si farebbe più questa domanda, anzi, insulterebbe i momenti in cui ha creduto che fosse una cosa sbagliata.

Fondamenti dell’Etica

Questo articolo si è aperto con delle considerazioni riguardanti il Determinismo, che prevedevano il crollo del principio di responsabilità. Se le mie azioni sono dovute alle circostanze, alla mia genetica ed esperienza personale, allora come posso essere considerato legalmente responsabile per esse?

Il problema della responsabilità legale svanisce immediatamente ad uno sguardo più maturo sul Determinismo. Se una persona è l’insieme di genetica, circostanze, ed esperienza, è più che mai importante punire per le proprie azioni. La punizione modifica il fattore dell’esperienza, imponendo di considerare, tra i fattori che favoriscono o sconsigliano un’azione, anche l’eventuale sanzione annessa. Nel caso di un individuo pericoloso la carcerazione è giustificata proprio in virtù del fatto che potrebbe reiterare il reato, dato che il mix di genetica ed esperienza personale che lo ha reso pericoloso una volta continua ad essere inalterato. Nell’ottica Deterministica quindi il carcere dovrebbe avere una funzione prevalentemente rieducativa, e bisogna anche porre enfasi sull’eliminazione delle cause che portano al crimine.

Una persona continua ad essere il “prodotto delle sue scelte”, il giudizio che formiamo su qualcuno è sempre basato sulle parole che dice e sulle azioni che compie, ma il Determinismo ci suggerisce il modo in cui i giudizi vanno interpretati. Si continua ad avere il diritto di giudicare negativamente una persona, o piuttosto “il genio che abita quella persona”, bisogna solo riconoscere che il modo in cui si comporta è una diretta emanazione del suo passato.

Questo può significare compassione, ma ovviamente non permissivismo.

[1] https://www.liceopertiniladispoli.edu.it/resnovae/2022/03/10/la-meditazione-funzionamento-e-benefici/

Un commento su “Il dibattito tra determinismo e libero arbitrio”

  1. Mauro cardone ha scritto:

    ho trovato l’articolo molto interessante; all’inizio l’argomento mi era parso un osso un pochino troppo duro per un liceale: forse è davvero così ma poi ho considerato gli effetti benefici di un simile tentativo e allora credo che tutto si tenga. in effetti le argomentazioni sono molto interessanti, magari la conclusione finale un po’ affrettata (limite di tempo, di parole?) e il punto di partenza dal fatto di cronaca per giùngere alle questioni sul determinismo forse non era il più indicato, sebbene assolva alla funzione di conquistare l’attenzione del lettore. Mi piace la forma, nel complesso mi pare un risultato brillante e acerbo allo stesso tempo, ottimo punto di partenza

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