L’evoluzione della censura cinematografica

Capita raramente di sentir parlare di censura, ma di cosa si tratta realmente e quando viene applicata?
La censura cinematografica è il complesso di procedimenti attraverso i quali si attua un controllo preventivo o successivo all’uscita di un’opera cinematografica, limitando o negando la sua proiezione in pubblico.
Risale al 1913 la prima vera legge che introduceva un concreto intervento censorio sulle proiezioni – al fine di impedire la rappresentazione di spettacoli osceni o impressionanti – ed è del 1920 il Regio Decreto che formò la prima vera Commissione. Il decreto in questione prevedeva che il copione del film venisse preventivamente sottoposto alla detta Commissione, prima dell’inizio delle riprese.
Con l’avvento del regime fascista, vennero rafforzate le disposizioni precedenti, giacché erano evidenti le potenzialità del cinema come mezzo di comunicazione, utilizzabile per lo più a fini di propaganda politica. Con l’avvento della Repubblica, le modalità di censura rimasero pressoché simili, nonostante l’articolo 21 della Costituzione consentisse la libertà di stampa e di tutte le forme di espressione.

Il mondo cattolico influì molto sulle dinamiche cinematografiche, infatti vennero vietati gli spettacoli e tutte le manifestazioni contrarie al “buon costume” dell’epoca.
Presso la Presidenza del Consiglio fu istituito un Ufficio Centrale per la cinematografia, nel quale confluirono le sentenze delle Commissioni di primo e secondo grado, in sostanza identiche a quelle del 1923.
Durante questi anni, con l’approvazione di un nuovo Regolamento, si assiste alla prima importante riforma della censura cinematografica: fra le principali novità figurano l’obbligo di presentazione del copione, una casistica più minuziosa di ciò che è vietato mettere in scena, l’introduzione – tra i membri della Commissione di revisione – di una madre di famiglia, di un “educatore”, di una persona competente in materia artistica e letteraria e di un pubblicista.
Nel 1949, fu emanata una legge che doveva promuovere la crescita del cinema italiano e al contempo frenare l’avanzata dei film americani, che risultavano essere sempre più acclamati. A seguito di questa norma, prima di poter ricevere finanziamenti pubblici, la sceneggiatura doveva essere approvata da un’apposita Commissione statale. Se si riteneva, poi, che un film diffamasse l’Italia, poteva esserne negata la licenza di esportazione.
Per tutto il Ventennio, dunque, il regime riesce ad imprimere un pensiero univoco, a far tacere gli oppositori, a censurare qualunque forma di dissenso creando un clima di terrore e sospetto.

Nel 1962 venne poi approvata una nuova legge sulla Revisione dei film e dei lavori teatrali, tuttora in vigore; in base a tale, legge il parere sul film viene dato da un’apposita Commissione di primo grado – e da una di secondo grado per i ricorsi – mentre il nulla osta è rilasciato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Ogni Commissione è composta da un Presidente – che di solito è un magistrato o un docente di diritto- , due esponenti della categoria ”produttori” e ”distributori”, due genitori in rappresentanza delle associazioni per i diritti dei minori e due esperti di cultura cinematografica.
Venne poi il fatidico 1968, che vide un particolare allentamento dei freni censori alle cui origini ci fu anche un mutamento dei costumi del popolo italiano e, più in generale, europeo. Tale influsso non sarebbe stato sufficiente senza una notevole evoluzione del cosiddetto comune ”senso del pudore”, percepibile anche in altri Paesi.

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