Dante: il poeta, il politico, l’uomo

A distanza di 700 anni dalla morte di Dante, il Poeta fiorentino continua a rivelare aspetti di sé rimasti ignoti, affermandosi come Uomo di ogni epoca; costituiscono, infatti, un processo di continua evoluzione l’analisi, la comprensione e la reinterpretazione dei testi danteschi, che, sebbene rappresentino per il Letterato medievale un unicum, sono, al contempo, un continuum, che ritrae le varie fasi della maturazione personale dell’Alighieri. Tale profilo artistico, continuamente in divenire, ha permesso al Poeta di superare i limiti – imposti dall’aura di sacralità propria delle auctoritates antiche – che lo ponevano su piani lontani dall’ordinario: i personaggi delle sue opere sono ritratti che raffigurano la realtà quotidiana, riproducendo, sempre con rinnovata passione verso il vero, ciò che è, senza alcun tipo di condizionamento. È proprio attraverso tale approccio che occorre valutare i capolavori dell’Autore toscano così che, d’un tratto, le sue forme – che prima apparivano lontane e, sotto certi aspetti, astratte – tornino ad essere vicine, reali. Francesca, lussuriosa seguace del “talento”, senza rimpianti, diviene una donna in carne ed ossa, che quasi stimola compassione; Beatrice, celestiale visione angelica, sinonimo di perfezione, diviene, anch’essa, reale e, pur mantenendo l’aspetto di purezza che – almeno agli occhi di Dante – la caratterizzava, è umana; Manfredi, principe di nobilissimi natali pronto ad espiare i propri peccati, con immensa fatica, sul Monte del Purgatorio, diviene l’uomo coraggioso, onesto, l’uomo che comprende i propri errori e agisce di conseguenza, rappresentando un exemplum di umiltà da seguire, ma restando pur sempre uomo.

Dante e il suo poemaaffresco di Domenico di Michelino nella Cattedrale di Santa Maria del FioreFirenze (1465). Fonte immagine: Wikipedia

Tali espressioni di umanità – senza tempo – si concentrano e si riassumono nella figura di Dante, l’Uomo per eccellenza, che ha mostrato di sé le facce più intime, consacrando il proprio operato ad aeternum, in quanto autore contemporaneo ad ogni tempo: il desiderio imperituro e irrealizzabile – ma mai dimenticato dal Poeta – di giustizia, la speranza dell’arrivo di un demiurgo colmo di valori – riconosciuto, per un tempo effimero, in Enrico VII di Lussemburgo – che possa porre fine al suo esilio e riportare nella sua amata Firenze le qualità che prima degli scontri interni la caratterizzavano – ed il costante, appassionato interesse al mondo in cui è venuto a trovarsi, ma che, di certo, non gli appartiene, svelano la nobiltà che caratterizza l’animo di Dante, poeta, civis e uomo. La ricerca del proprio tempo in un’altra epoca ha, pertanto, condotto il Sommo a creare il “suo tempo”, il quale non ha una dimensione spaziale né una collocazione cronologica, bensì esiste – sempre è esistito ed esisterà sempre – nell’animo degli Uomini onesti, veri, dotati d’umanità: egli, dopo essere stato umiliato con l’esilio, è costretto a vagare per le corti dei signori dell’Italia settentrionale, trovando rifugio vero e proprio solo nella scrittura, attraverso la quale ha, parzialmente, plasmato l’immaginario collettivo del concetto di bellezza, a partire dai richiami alla cultura classica. Dante, pertanto, incarna gli aspetti che accomunano l’ essere umano di ogni epoca: dalla spensieratezza alla tristezza, dalla rabbia alla felicità, dalla patria all’esilio, il Poeta ha sempre descritto – direttamente e indirettamente – sé stesso e, quindi, chiunque. Si percepiscono negli scritti del Poeta, exul immeritus, gli stessi sentimenti di raffinata angoscia, i lineamenti romantici e nostalgici tipici di chiunque abbia perduto per sempre ciò che gli è di più caro. Dante, quindi, cercando di rappresentare la dimensione – asintotica – del sublime e dell’eterno è divenuto egli stesso figura immortale, alla continua ricerca, senza posa, della conoscenza di sé stesso.

William Blake, The Circle of the Lustful – Paolo and Francesca, 1827

Inferno, Canto V, vv. 100 – 142

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.

Caina attende chi a vita ci spense”.

Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand’io intesi quell’anime offense, china’ il viso, e tanto il tenni basso,

fin che ’l poeta mi disse: “Che pense?”.

Quando rispuosi, cominciai: “Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!”.

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,

e cominciai: “Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette amore

che conosceste i dubbiosi disiri?”.

E quella a me: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice

ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.

Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante”.

Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangëa; sì che di pietade

io venni men così com’io morisse.

E caddi come corpo morto cade.

.

Il Canto del sentimento umano

«Lo sguardo di Dante nell’inferno, e soprattutto in questo primo incontro con il peccato e con il castigo, è uno sguardo rivolto all’indietro con trepidante stupefazione, uno sguardo in cui ormai brilla la coscienza del difficile valico sormontato e insieme l’intensa emozione del pericolo corso, la vertigine della sempre imminente caduta. Con questo animo il poeta guarda all’amore di Paolo e Francesca: con una dolorosa partecipazione affettiva, cioè, che non è già giudizio assolutorio né romantica nobilitazione, ma, piuttosto, comprensione istintiva della umana debolezza, momentanea immedesimazione nell’intrico periglioso di quegli ameni inganni che trassero i due amanti al fondo della colpa. Una comprensione che non si esaurisce tuttavia in sé stessa, ma è costantemente combattuta dall’acquistata chiaroveggenza morale, perché il poeta non cessa mai di aver presente il luogo e i modi della pena, la responsabilità delle anime, la terribile realtà del loro destino. La “pietà” nasce perciò non soltanto come conseguenza dell’orrore suscitato dal racconto della morte violenta, ma anche e soprattutto dal confronto tra la suggestione delle felici ore dell’amore, tra l’attrattiva di quegli attimi così dolci e dimentichi, e la necessità presente e viva della pena eterna, della inesorabile legge che da ogni parte preme e non concede respiro e strazia nel profondo, sino al grido e alla bestemmia. A me sembra che proprio da questo rapporto, in Dante ancora irrisolto (una penosa dissociazione!), tra il persistente ricordo delle lusinghe terrene, del facile arrendersi dell’uomo ad esse, e la raggiunta consapevolezza della natura peccaminosa di quelle inclinazioni e quindi della inevitabilità del loro castigo, nasca (non per Francesca e Paolo soltanto, dunque, ma per tutti i peccatori d’amore; e per se stesso, ancora, e per la difficile e precaria condizione umana) che domina il canto da cima a fondo.»

da L. Caretti, Il canto di Francesca, Lucca, Lucentia, 1951.

Un commento su “Dante: il poeta, il politico, l’uomo”

  1. Paola ha scritto:

    Bravissimo Simone! Avendo studiato conino degli allievi dei ‘ Dantisti’ ti garantisco che l’emozione è tanta quando sento parlare un giovane del Sommo! Un bell’articolo. Spero continuerai a scriverne

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