La guerra del nuovo Zar

Quelli che stanno in alto – Bertolt Brecht 

Quelli che stanno in alto
si sono riuniti in una stanza.
Uomo della strada
lascia ogni speranza.
I governi
firmano patti di non aggressione.
Uomo qualsiasi,
firma il tuo testamento.

Così recita la poesia di Bertolt Brecht e, in questo particolare momento storico, risulta purtroppo più che attuale. L’invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin viola il diritto internazionale e, come afferma la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, rischia di “distruggere l’architettura di sicurezza che ha dato all’Europa pace e stabilità per molti decenni”. Tutti gli insegnamenti che le guerre del Novecento ci hanno amaramente impartito sembrano essere d’un tratto dimenticati, e le stragi non hanno più valore, come la sofferenza, il terrore, le barbarie. Il desiderio di conquista e vendetta che anima l’invasione sembra un ritorno alle mire imperialistiche zariste, e lo zar da incoronare, in questo caso, non sarebbe un nobile di antico lignaggio, ma il presidente di una repubblica. 

Come la poesia ci dice, “quelli che stanno in alto” ingaggiano guerre e firmano armistizi a piacimento, senza considerare il dolore che possano provocare a chi il potere decisionale non lo ha, ma ponendosi come unico obiettivo la conquista, il prestigio, l’eliminazione seriale degli oppositori, l’accentramento in sé dei poteri. 

Milioni di Russi non vogliono la guerra, ma non hanno voce in capitolo e sono costretti a “firmare il proprio testamento”. Tuttavia, questo è un meccanismo già conosciuto, come quando in Italia una maggioranza silenziosa di pacifisti fu sopraffatta da una minoranza rumorosa di interventisti a entrare nella prima guerra mondiale il 24 maggio 1915. Ma si tratta di più di un secolo fa, e ci si aspetterebbe che le nazioni più avanzate abbiano raggiunto un livello di democraticità superiore, in cui il governo è voce del demos e opera per il benessere collettivo. Ci si aspetterebbe anche che non ci siano tensioni nei rapporti internazionali tra stati, ma la cooperazione; eppure, la diplomazia questa volta ha fallito. Ha vinto, invece, il concetto di homo homini lupus est, “l’uomo è lupo dell’altro uomo”, del filosofo Hobbes, ossia la legge della sopravvivenza e della sopraffazione, la bestialità del conflitto.

Anche nell’Atene del V secolo a.C., Aristofane parla della guerra e delle sue conseguenze disastrose nella commedia Pace. Racconta che gli dei, disgustati dalla cattiveria umana, se ne vanno, lasciando il potere a Pòlemos (personificazione della guerra), un mostro orrendo e smisurato che ha rinchiuso Eirene (la Pace) in una grotta, preparandosi a pestare in un mortaio le città greche con l’aiuto del servo Tumulto. L’eroe comico Trigeo, con l’aiuto dei contadini attici, libera Eirene, insieme con Opora e Teoria (l’Abbondanza e la Festa), e riporta sulla Terra la pace.

Anche noi ora dobbiamo liberare Eirene dalla grotta in cui questo conflitto l’ha reclusa, e ristabilire la “pace e la stabilità” per il bene dei migliaia di sfollati ucraini, dei bambini nei bunker, delle madri disperate, dei soldati che non hanno scelta se non morire. Se Aristofane, nato nella metà del V secolo a.C., è riuscito a capire che la guerra è annientamento, la fine della civiltà e la vergogna degli dei, per le nostre moderne democrazie non dovrebbe neanche porsi il problema. Ma la realtà è differente: questa guerra è il prodotto dell’orgoglio nazionalista, della xenofobia, dell’odio gratuito, del supporto che diamo a figure politiche carismatiche e dittatoriali, che trasformano le nostre fobie e la nostra ignoranza in soldi, potere e sangue.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.