Il reggae, Patrimonio dell’Umanità, e i suoi eredi

“Per il suo contributo al dibattito internazionale su questioni di ingiustizia, resistenza, amore e umanità”. Con questa motivazione, il 29 novembre 2018, la commissione dei Beni Immateriali dell’Umanità dell’Unesco ha inserito la musica reggae nella lista dei patrimoni internazionali.

In effetti questo genere è celebre per i suoi messaggi di pace e di amore, lanciati dalla più grande icona reggae, Bob Marley. Il musicista giamaicano ha trasformato un fenomeno musicale in un veicolo per diffondere
ideali, raggiungendo per la prima volta tutto il mondo.

Lo stile reggae nasce nella Giamaica occidentale verso la fine degli anni Sessanta e presenta caratteristiche di diversi generi tipici di quel periodo, soprattutto lo ska, il rock steady e il soul; i suoi tratti caratteristici sono gli accordi di chitarra ritmica e la batteria in levare, ovvero suonati in risposta ai battiti e non contemporaneamente, come si fa di solito, creando il tipico ritmo giamaicano. Anche se oggi, soprattutto in Italia, leghiamo il successo globale del reggae soltanto a Bob Marley, in realtà il genere ha valicato molti confini in seguito all’approdo in America.

Lì infatti, dopo alcune hit di artisti pop che avevano ripreso il genere, il film The harder they come, con Jimmy Cliff (uno dei principali artisti degli albori del reggae) come attore protagonista, segnò la conquista definitiva delle radio da parte della musica giamaicana. Poi seguirono artisti come Peter Tosh, Toots and The Maytals, Israel Vibration, fino a Marley. Tutti quanti sapranno interpretare la propria cultura: la stessa cultura che diffuse a livello globale un messaggio che, per quanto oggi possa sembrare banale (o, come direbbero alcuni, “buonista”), fu rivoluzionario.

Poster del film The Harder They Come

L’importanza dell’amore e dell’unione cantata dagli artisti reggae, motivata dalla religione Rasta, fu percepita come un modo per evadere dagli schemi occidentali, laici e materialisti, e come una soluzione migliore rispetto alle opzioni proposte dal sistema dominante per raggiungere la felicità. Ai nostri giorni,  nonostante il clamoroso successo mondiale negli anni Settanta/Ottanta, il genere ha perso molta visibilità, tanto che molti ragazzi probabilmente lo confondono col reggaeton. Però ha fortemente influenzato molta della musica che sentiamo oggi in radio.

Una foto di alcuni rude boy

Primo nella lista degli eredi del reggae è il rap, soprattutto da un punto di vista dei temi trattati: tipica degli albori del Reggae fu infatti la figura del rude boy, un’ espressione gergale giamaicana che significa letteralmente ragazzo rude, maleducato, riferita a un movimento di ragazzi sostenitori della scena reggae e ska.

I rude boy avevano una filosofia di vita simile a quella dei rapper modern: si vestivano all’ultima moda per protestare contro una società che gli aveva sempre impedito di diventare qualcuno di rilevante, ostentando così uno status che di fatto non avevano a causa della povertà che colpiva la grandissima maggioranza della popolazione giamaicana.

La stessa ostentazione che oggi caratterizza i “rapper che ce l’hanno fatta”, ovvero quei ragazzi di periferia che vengono dal mondo violento e ingiusto della strada ma che grazie alla musica diventano ricchi e di successo. Persino le gang hanno origine dai rude boy: non mancavano infatti sparatorie fra gruppi rivali spesso capeggiati dai proprietari dei sound system, allora utilizzati per suonare musica dal vivo e registrare. Il legame fra reggae e rude boy si allenterà col passare del tempo, poiché i temi della musica giamaicana più famosa del mondo diventeranno più legati alla religione Rastafari, prendendo posizioni pacifiste e antimaterialiste, creando una decisiva spaccatura col mondo dei rude boy.

Tuttavia  la denuncia sociale rimarrà tipica del genere giamaicano, diventando uno dei suoi temi centrali.

Interno di una Dancehall

Sempre per quanto riguarda la musica, oltre a rivisitazioni moderne suonate nelle dancehall, ovvero i locali in cui viene suonato il genere omonimo (una versione più ritmica, con qualche tastiera elettronica in più e con influenze dance del reggae), la musica di Bob Marley ha anche lasciato il segno in una corrente musicale che ha recentemente raggiunto il picco della popolarità, ovvero il reggaeton.

Questo, sebbene venga da un contesto latino e presenti contenuti amorosi elaborati in chiave erotica ben lontani anche dalla più romantica delle ballate giamaicane, è strettamente collegato al reggae a livello musicale (come può suggerire il nome): infatti ci sono ancora gli accordi in levare e il suo ritmo caratteristico era già stato utilizzato nelle prime forme di musica dancehall, risalenti ai primi anni Novanta. Potremmo quindi dire che il reggaeton è un’unione fra la musica giamaicana e i testi spagnoli, che col tempo si è distinta sempre di più fino a portare alle hit estive che tutti conosciamo. 
Il reggae inoltre creò, inaspettatamente, legami col punk. Legati principalmente dal fatto di rappresentare entrambi la voce delle minoranze e degli individui repressi dalla società, usando entrambi toni rivoluzionari, la loro unione diede vita allo ska punk, ovvero un sottogenere del punk che utilizzava gli accordi in levare ma con un tempo molto più veloce e aggressivo, anche se la sua fama non fu lontanamente paragonabile a quella dei suoi due macrogeneri genitori e oggi è praticamente sconosciuto. A riprova del legame fra reggae e punk, Bob Marley scrisse la canzone Punky Reggae Party.

Oggi i più quando sentono parlare del reggae (quando sanno cos’è) pensano subito ai dreadlock e alla marijuana, che sono effettivamente elementi centrali del movimento, ma di certo non sono la cosa più preziosa che potevamo conservare nella nostra cultura generale. Il suo messaggio originario è stato dimenticato ed è andato perso negli stereotipi. Forse il vero insegnamento è che di persone che cantano di pace non ce ne saranno mai abbastanza.

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