Covid e scuola: Veneto e Lazio a confronto

A scuola, e anche nel nuovo Dpcm, si parla di un ritorno alla didattica in presenza per almeno il 75% degli studenti. Per il momento non possiamo fare altro che sopportare la Dad che però, checché ne dica la ministra Azzolina, non è assolutamente una situazione ideale di apprendimento; non sarebbe neanche giusto definirla “sufficiente” e, in condizioni normali, nell’ambito dell’educazione non dovrebbero esserci compromessi così pesanti. È anche vero però che siamo in una situazione di emergenza, di certo possiamo accettare di fare lezione dal computer se è per la sicurezza della popolazione.

Qualcuno ha sollevato alcuni dubbi: la Dad è dannosa? La responsabilità maggiore è quella del governo, della regione di appartenenza o della scuola? Com’è stato davvero per gli studenti fare questa transizione? Ma soprattutto, com’è la situazione in altre regioni? Vogliamo confrontarci con una studentessa di Este, in provincia di Padova. Si chiama Sara Boscolo, è una nostra coetanea di Este appunto, frequenta il quinto anno del liceo scientifico, e con lei abbiamo approfondito questi temi durante una video-intervista. Ci siamo confrontati sulle nostre esperienze personali durante questo periodo, ma anche sui provvedimenti presi dalle scuole o regioni, mettendo in evidenza le differenze fra Veneto e Lazio. Di seguito trovate le risposte di Sara e il link al suo articolo (anche lei fa la giornalista per il suo giornalino scolastico: lo trovate qui http://rompipagina.altervista.org/incontro-lazio-veneto-le-esperienze-punti-vista-due-studenti-quinta-nellanno-del-covid-19/) dove potrete leggere le mie risposte e quindi completare la lettura. Speriamo di far sentire meno soli altri studenti come noi con questo scambio, in cui emergeranno riflessioni ma anche vicinanze interregionali. 

Il Gian Battista Ferrari, polo liceale frequentato da Sara

Valerio Timo – Res Novae: “Che aria si respira in Veneto?”

Sara Boscolo: “Ci sono due modi in cui potrei risponderti. Ad esempio c’è la questione dell’ospedale di Schiavonia, dove lavora mia madre, che era diventato un centro Covid, ne ha viste di tutte i colori e ha ospitato i casi di Vo’ durante la prima ondata; adesso sta tornando in quella situazione con la seconda. Poi c’è la questione della figura di Zaia e della gestione dei comuni o comunque dei controlli nelle città. Io vedo che la situazione non è ferrea come si spererebbe, anzi andando a Padova mi è capitato di vedere i carabinieri in Prato della Valle senza mascherina e in generale non pochi giovani creano comunque assembramenti. Zaia personalmente è più una figura popolare che politica, ma ha fatto passare dei messaggi giusti, non ha preso sotto gamba la questione e i provvedimenti regionali sono stati adeguati; in generale in Italia credo che le cose siano state fatte al meglio delle possibilità, ma sulla scuola e sulle restrizioni sociali come i coprifuoco sono stati fatti molti errori. Per quanto riguarda l’ospedale di Schiavonia (e quindi la gestione sanitaria), l’ospedale da campo allestito nel parcheggio era nuovissimo ed era stato progettato per sostenere il ricovero degli infetti ma è stato smontato in estate. Hanno sbagliato ad allentare la presa.”

Gli studenti protagonisti di questa intervista: Sara Boscolo, del “Gian Battista Ferrara” di Este, e Valerio Timo, del “Pertini” di Ladispoli

Emerge quindi una situazione con diversi “sgarri2, con l’aggiunta dell’episodio di Schiavonia, che fortunatamente non ha un corrispettivo qui nel Lazio, ma comunque nel complesso sotto controllo. Chiacchierando è uscita fuori anche la questione dei media, che in effetti non hanno aiutato né il governo né le regioni a comunicare coi cittadini, pubblicando notizie discordanti fra loro o, come si è visto a marzo, rivelando il Dpcm sulla chiusura delle scuole prima del discorso di Conte. Il risultato finale è una perdita di credibilità da parte dei giornali ma anche l’incertezza nei cittadini che devono necessariamente aspettare il discorso del premier per avere informazioni certe sui provvedimenti. 

Valerio Timo – Res Novae: “Come hai reagito quando si è saputo del lockdown?”

Sara: “Ho un aneddoto. Ero a Padova per l’orientamento universitario e stavo andando a incontrare degli amici al ‘Pedrocchi’, era periodo di carnevale c’erano i bambini coi coriandoli, il clown la musica… quello che oggi chiameremmo un assembramento. Mentre andavo avevo visto i carabinieri e l’ambulanza passare, ma non avevo idea che potesse essere per quello, poi di ritorno ad Este in macchina (con gli amici di prima) sentiamo alla radio del primo caso europeo a Vo’. Ci siamo guardati negli occhi perché era surreale e la la narrativa che circolava in quel periodo era da pestilenza, panico sottopelle”.

“Surreale” è la parola che ha scelto Sara per descrivere non solo il venire a conoscenza della notizia ma l’andamento del 2020 in generale,  il lockdown e il restare chiusi in casa così a lungo sono l’opposto della normalità e ci portano arrivati a questo punto ad essere esausti.

Il caffè Pedrocchi di Padova

Valerio: “Sono state rispettate le norme sanitarie governative nella tua scuola?”

Sara: “Noi da subito abbiamo avuto l’orario scaglionato per biennio e triennio, e facevamo orario ridotto, 4 ore. Dopodiché, circa due settimane prima dell’inizio della Dad al 100% abbiamo iniziato con le classi a rotazione, però non seguivamo un ordine particolare come poteva essere quello dell’anno scolastico o delle sezioni, credo che si basassero sulla disponibilità dei professori ma comunque come da regolamento si faceva in modo che in presenza ci fosse solo il 25% degli alunni. In tutto questo a ottobre abbiamo iniziato con l’orario pieno, che era sempre stato dalle 8 alle 13 dal lunedì al sabato ma quest’anno hanno tolto il sabato e aggiunto un rientro di tre ore alla settimana (una delle tre ore era pausa pranzo) e tre ore in asincrono, ore in asincrono che però in realtà sono partite da novembre e venivano usate come pretesto per aggiungere materiale anche dai prof che non dovevano recuperare ore dall’orario ridotto, generando così diverse difficoltà. In Dad al 100% l’orario non è cambiato e non hanno fatto riduzioni.” Gli orari descritti da Sara non sono incongruenti con le norme sanitarie tuttavia, soprattutto con l’inizio della Dad al 100%, hanno messo in difficoltà gli studenti, che devono stare molto tempo davanti a uno schermo per seguire le lezioni a volte arrivando anche ad 8 ore, 9 con la pausa pranzo, molto più di quanto siamo abituati noi al Pertini per esempio. Sara ha poi continuato parlando della sicurezza all’interno della struttura scolastica: “Hanno sfruttato le uscite antincendio per creare diversi ingressi e uscite così da non affollare troppo l’ingresso principale; i collaboratori scolastici controllavano questi ingressi e non facevano entrare chi non aveva indosso la mascherina chirurgica; nei corridoi c’erano le corsie differenziate con la segnaletica, anche nei bagni c’erano i tondini per aspettare il proprio turno a distanza di sicurezza; in classe i banchi erano distanziati con gli adesivi [come da noi al Pertini prima dell’arrivo dei banchi a rotelle]. Tuttavia tutte queste misure non prevenivano l’assembramento inevitabile che formava tutte le mattine davanti ai cancelli, i quali non venivano aperti prima di un certo orario e costringevano gli studenti ad aspettare sul marciapiede.” In tutto questo la voce degli studenti forse non è presa troppo sul serio, infatti: “L’elezione dei rappresentanti si è svolta regolarmente ma con pochissimo preavviso e sono state molto rocambolesche, però sono molto fiera dei rappresentanti eletti perché si danno molto da fare anche su questioni come gli orari, nonostante siano regolamentati da enti superiori all’istituto scolastico”.

logo del G.B. Ferrari

Valerio: “Come ti trovi in Dad?”

Sara: “Come si intuisce dalle risposte precedenti mi trovo male. È più stressante del normale, la mole di lavoro è tantissima e anche le ore in video-lezione lo sono, ci resta davvero poco respiro e tempo libero. Spero in un ritorno in presenza perché in questo modo non ce la faccio più, soprattutto perché io in particolare ho bisogno dell’interazione dal vivo col professore. Purtroppo è l’unico modo per mantenere un contatto quasi-umano con l’ambiente scolastico ma non deve essere considerata più di una soluzione estrema, un’ultima spiaggia giustificabile solo in situazioni come quella del primo lockdown e forti riprese della curva dei contagi”

Giuseppe Conte e la ministra Azzolina prospettano la riapertura della scuola a gennaio

Valerio: “Infine, cosa ne pensi del venturo esame di maturità?

Sara: “Io mi auguro che l’esame sia simile a quello dell’anno scorso, il pensiero di fare le prove scritte di matematica e fisica dopo un anno in cui ho studiato queste materie con estrema difficoltà a causa delle lezioni a distanza mi spaventa; preparare per bene un esame solo orale sarebbe più fattibile. Certo l’esame dell’anno scorso è stato fatto di corsa e con poca organizzazione, gli studenti hanno saputo praticamente due settimane prima come si sarebbe svolto, era ovvio che non era fra le priorità del governo; questa volta già si vocifera di alcune date per le prove scritte, ma non si sa bene se siano voci affidabili o meno, i professori dicono che se si tornerà a scuola dopo Natale sarà più probabile che l’esame includerà anche la seconda prova. Ancora una volta non sappiamo cosa aspettarci e nessuno sa cosa dirci, né i media né le scuole né il governo. Poi l’anno scorso le prove scritte sono state evitate perché sono statali e uguali per tutti, e gli istituti di tutto il territorio non potevano garantire una preparazione omogenea: io credo che non possano garantirla neanche quest’anno.”

Penso che tutti i liceali, soprattutto i ragazzi di quinto, possano rivedersi in queste risposte. A scuola siamo tutti vittime della pandemia, dal professore che si ritrova a dover fare lezione con dei mezzi che magari non conosce all’alunno alienato dalla socialità della scuola e schiacciato dall’incombenza degli esami, sui quali si sa poco e niente; penso però che molti, come Sara, temano di non poter arrivare a fine anno pronti per un esame completo, e che molti come lei ma anche come me siano esausti della situazione. Vorremo far capire ai professori, ai presidi ma soprattutto al ministero dell’istruzione che la situazione NON va bene: qui al Pertini facciamo 4 ore al giorno, al Ferrari ne fanno 5 più i rientri pomeridiani, ma non significa che gli studenti dell’uno o dell’altro istituto abbiano più o meno ragione ad essere stanchi, a fare più fatica del normale, a sentire la propria preparazione menomata. La Dad non è un alternativa sostenibile, soprattutto in vista degli esami, vorremmo che si smettesse di giocare con la nostra istruzione e col nostro tempo.

Perlomeno abbiamo dimostrato che le differenze fra regione e regione non contano poi così tanto, tutti gli studenti Italiani possono considerarsi vicini anche se, purtroppo, solo nelle difficoltà.

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